I terremoti del 1703 fanno parte di un complesso e lungo periodo sismico, le cui prime avvisaglie si ebbero probabilmente fin dall’ottobre 1702 e che comprese due eventi principali, il 14 gennaio e il 2 febbraio 1703, e una lunga ‘coda’ di repliche nei mesi seguenti. I massimi effetti del terremoto del 14 gennaio coinvolsero una vasta area dell’Umbria e del Lazio. all’incirca compresa tra Norcia e Amatrice. L’evento del 2 febbraio fu devastante per il Lazio e l’Abruzzo – specie tra Antrodoco e L’Aquila – e «finì di distruggere» vari luoghi che erano stati danneggiati dalle scosse precedenti.
Il 2 febbraio 1703 a Porchiano «castello per men di tre miglia distante dalla città [di Ascoli] verso Settentrione sovra un erto colle situato, che fu uno di que’ pochi luoghi, che nello Stato d’Ascoli ricevé qualche piccolo danneggiamento, occasionato più dalla mala struttura, e dall’antichità delle lor fabriche, che dall’impeto de’ crollamenti» il terremoto colse di sorpresa una ragazza («zita» o «zitella», si diceva allora) di nome Giovanna, figlia di un certo Celso Agostini.
La descrizione della sua esperienza a lieto fine è ricavata dal resoconto in terza persona che ne fece Tullio Lazzari in un opuscolo del 1703 e che – per accentuarne la drammaticità – abbiamo trasposto in discorso diretto.
«Andata […] in una stanza fuori, ma non lungi dalla mia casa a pigliar cert’olio per farne limosina, e sovraggiunta dalla scossa terribile de’ 2 di febraio [1703] vedendo agitarsi smodatamente la casa, e cominciando a cadere frantumi dal peraltro debilitato solaio superiore; genuflessa raccomandandomi al santo protettore Emidio, e quello divotamente più volte invocando; ancorché mi cadesse d’attorno buona parte delle macerie di detto solaio, o piancato, pur sotto quelle restai mirabilmente salvata; ed abbenché ne rimanessi quasi affatto ricoperta, con tanto ciò incrociatisi fra se stessi i travicelli, che mi sovrastavano, e restati come sospesi sopra il mio capo, quando colla loro caduta m’avrebbero certamente ammazzata, non mi cagionarono verun danno, mercé l’aiuto dell’invocato protettore. Onde fui tosto ricavata sana, e salva, e condotta poi dal fratello a render le dovute grazie all’insigne mio liberatore, come feci con grande tenerezza di spirito, comunicandomi all’altare del suo sepolcro, e lasciando alcune monete corrispondenti allo stato di povera zitella.»
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