Il 12 maggio 2021, nella Chiesa Matrice di San Marco Evangelista in Agnone, si è svolta la solenne benedizione del nuovo busto di San Cristanziano (opera di Ettore Marinelli) da parte di S.E.R. Mons. Claudio Palumbo. A seguire il socio Professor A.A. Varrasso di Castiglione a Casauria ha tenuto una conferenza di cui presentiamo il testo, che sarà oggetto di prossima pubblicazione.
Mons. Giuseppe Pitocco (1756-1771), da circa due anni vescovo di Trivento, probabilmente già nell’aprile 1758 si era rivolto al clero di Ascoli Piceno, se non proprio a quel presule (Pietro Leonardi, 1755-1792), con una missiva, fin qui non rintracciata, dal tenore interrogativo e, al tempo stesso, informativo, che dovette incentrarsi particolarmente sulla storia religiosa e devozionale di Agnone e, particolarmente, sulla figura del Patrono cittadino, San Cristanziano. Del tenore di quella missiva, che fin qui sembrerebbe sconosciuta, ci informa sufficientemente la risposta, che il vescovo triventino ottenne da Mons. Francesco Antonio Marcucci (1717-1798), ecclesiastico eminente della Città picena, storico della Chiesa ascolana e, poi, tra l’altro, nel 1770, vescovo di Montalto; il Marcucci che già qui possiamo definire ‘persona informata dei fatti’!
La nota di che trattasi, individuata di recente nell’archivio di questa Chiesa Matrice di Agnone, è datata in Ascoli, il 29 aprile 1758. Giova riprenderla sommariamente, giacché essa ci introduce e poi illustra l’argomento di cui trattiamo. Lo scopo più intimo, se posso dire, del Marcucci appare quello di inviare al vescovo di Trivento un racconto, appositamente da lui composto, sulla vita di san Cristanziano, sul quale ritornerò e che per taluni versi è oggi già noto in Agnone. In questo testo ‘ l’abate ascolano ’ – come spesso veniva definito il Marcucci in ambito culturale e letterario – mise subito in evidenza lo strettissimo rapporto che, a suo parere, passava storicamente tre le figure agiografiche ascolane di sant’Emidio e di san Cristanziano. Le quali, al tempo stesso, risultavano ben significative nella vita comunitaria, devozionale e cittadina di Agnone: così come gli venivano ‘rivelate’ – diciamo così (anche se non era poi in Ascoli una grande novità) dallo stesso Pitocco, sulla base di una narrazione che è ora urgente cercare di ricostruire, anche filologicamente. Volendo poi inquadrare queste ‘comunanze di vedute devozionali’ tra Ascoli ed Agnone in un contesto fattuale e storicamente significativo dei più che secolari rapporti tra le due Città, che, va da se, potevano benissimo fare da sfondo alle stesse adozioni cultuali agnonesi delle figure di Emidio e Cristanziano, il Marcucci evocava gli altrettanto significativi momenti di scambi commerciali, facendoli risalire tra le due Comunità alla tarda età angioina, con i regni di Giovanna 1^ (dal 1346 al 1382) e di Ladislao (1386-1414). Ma in tal senso questi rapporti è possibile retrodatarli alla stessa età sveva, già in pieno Duecento, se non a prima.
In ogni caso è certo che nella prima età angioina (1266-1285) questi rapporti sembrano consolidati, per quanto condizionati dalle iniziative stesse di Carlo 1° d’Angiò nel Piceno meridionale; iniziative complesse, che videro in gioco il rapporto del nuovo re di Sicilia con Fermo, Ascoli e, sullo sfondo, la stessa Venezia, oltre che il Papato per quanto concerneva il confine del Regno di Sicilia con lo Stato della Chiesa. La stessa chiesa di sant’Emidio di Agnone, circa la quale dal Marcucci e dal Pitocco stessi avremmo voluto saperne di più, è documentata nel 1314 e poi anche nel 1326. E vi sono elementi architettonici della stessa databili, come è stato notato, già al 1310. Ad ogni modo, la stessa tradizione settecentesca che, come si vede, riponeva un preciso significato economico e sociale nell’incontro tra Ascolani ed Agnonesi, andrebbe ulteriormente approfondita, anche nella direzione di conoscere più da vicino il ruolo esercitato dai Veneziani, tanto in Agnone, quanto nel Piceno.
E, tornando alla corrispondenza in questione, nella menzione di Cristanziano – definito dal Marcucci “avvocato singolare contro le grandini e di altre tempeste e procelle e contro delle guerre e civili discordie” – egli rivela un pò il senso della richiesta di Mons. Pitocco, che sarà stato ben quello di ottenere nuove e più puntuali informazioni sulla figura del santo venerato in Agnone. Al tempo stesso, però, mi pare di poter scorgere in una siffatta istanza un velato disagio, proprio di tipo culturale, laddove il Marcucci riscontra la tradizione agnonese di Cristanziano, divenuto patrono “nei secoli addietro”, in un indefinito, cioè e forse indefinibile – almeno in quel momento – spazio temporale, quello, appunto, dell’epoca – ancora ignota sembrerebbe, della promozione del santo a “singolar Protettore” di Agnone.
Non se ne sapeva molto, evidentemente, anche allora! A me sembra che questa consapevolezza, per quanto dissimulata, ispiri, poi, la fervida e riconoscente interlocuzione del Marcucci nel descrivere di par suo la figura di Cristanziano, dovendo al contempo egli stesso rilevare l’esiguità e forse anche una data precarietà delle informazioni che andava a fornire. Infatti, a fronte di una pubblicistica che egli si impegna a citare e di marca ascolana, che si sarebbe ‘puntualmente’ dedicata alla storia del santo e del suo culto, ammette, alla fine, che nessun Autore, né antico, né moderno ha considerato san Cristanziano in un opera specifica e, quindi, quello che egli ha potuto raccogliere era il massimo possibile in materia. Perciò la lettera del Marcucci viene costituita come ‘prudente’ ed avvertita introduzione al suo componimento sul personaggio Cristanziano. Testo, questo, che rinvenimmo, anch’esso, con la suddetta corrispondenza, in questo archivio parrocchiale di San Marco. Il suo è un tentativo che non vorrebbe rassegnarsi alla grave esiguità delle informazioni e che, un po’ surrettiziamente, tenta ad elevare a dignità storiografica: anche se a sostegno delle sue affermazioni il Marcucci non reca alcuna documentazione probante! Non diversamente, concludendo su questo, potrei apprezzare l’affermazione finale del Marcucci, alquanto disarmante:
“Certamente, coll’esser stato san Cristanziano discepolo ed uno dei Compagni diaconi del glorioso sant’Emidio, molto egli fece di eroico, molto operò di meraviglia; ma il più bello, il più, nei soli fasti del Cielo stà registrato”
Per rimanere, però, doverosamente, alla documentazione storica, mi piace riferire da subito un dato, che solo molto recentemente mi è stato dato di riscontrare in Ascoli e senza meravigliarmene troppo, devo dire! Nella redazione latina degli Statuti di Ascoli del 1377, il cui originale è andato perduto, ma che ci è pervenuta, sia pure non completamente, in una copia cinquecentesca, laddove si tratta del calendario delle “feste che devono essere celebrate” in Città (Libro 2° – Rubrica 40), al 13 maggio è segnata, appunto, quella di san Cristanziano!
Il dato, importante, non era scontato, perché successivamente, nella redazione in volgare degli Statuti medesimi, andati a stampa nel 1496, questa festa non viene più menzionata ed a ben vedere scompare già a metà secolo, negli Statuti del Viale e dei Danni Dati, che sono del 1451. Perciò la storiografia ascolana non si è avvalsa di questo dato trecentesco su Cristanziano nemmeno quando, molto più recentemente, ne rivendicava il culto presso la Congregazione dei Riti e non lo ha fatto perché ignorava il testo latino degli Statuti del 1377. Ora noi sappiamo che Ascoli, già nel secolo XIII, con la definitiva affermazione dell’organismo comunale, ebbe i suoi Statuti, purtroppo perduti. Come perduta, appunto, risulta la tradizione in lingua latina del Trecento degli stessi Statuti.
Questa menzione al secolo XIV, pertanto, di Cristanziano è molto significativa per lo studio delle sue origini e, al contempo, penso, sia ben retrodatabile nel tempo. Essa è la più antica fin qui rinvenuta in ambiente ascolano, anche se non manca, ma in ben altro contesto, una chiara menzione del santo, risalente alla 2^ metà del secolo XII.
Per rimanere in ambiente ascolano occorre ulteriormente citare lo Statuto antico del castello di Portella, riformato nel 1475 (Rubrica 16 del Libro 2°) dove l’esplicita citazione della festa di san Cristanziano non può essere una novità del Quattrocento, visti i precedenti, e dove si prescrive, pena severe sanzioni pecunarie, la scrupolosa osservanza della norma che concerne la partecipazione corale della popolazione alla solenne processione del santo. Il che – evidentemente – presuppone, io penso, anche una sua più definita iconografia sulla quale dovremmo tornare.
Interrogarci, adesso, sulla figura, storica o fantastica che fosse, di Cristanziano significa chiarire la vicenda più che secolare del suo culto, che a diversi livelli coinvolge Ascoli Piceno ed Agnone ed anche altri luoghi. Si tratta di una vicenda, già a questo livello degli studi, abbastanza diversificata e ramificata. Egli, san Cristanziano, è noto nel Lodigiano, dove peraltro taluni lo dicono vescovo, quindi nell’Abruzzo chietino, per esempio tra le chiese del monastero di san Vito al Trigno e, sempre in area abruzzese, in quelle che furono le dipendenze monastiche di San Clemente a Casauria e, probabilmente, per effetto della originaria diffusione dei calendari liturgici più antichi – come dico appresso – lo si menziona persino in Sardegna, a Sassari.
Un nome Cristanziano, infatti, che, data la sua collocazione è inevitabilmente un martire, compare in una fonte agiografica di primo ordine, anche se molto problematica, quale quella del Martirologio Geronimiano. Una compilazione, questa, che ci è pervenuta per effetto di un rimaneggiamento, avvenuto ad Auxerre, alla fine del secolo VI, di un documento liturgico nato e concepito in area italiana.
E’ inevitabile partire da qui, tenendo presente che la nozione geronimiana è presto transitata nel martirologio di Usuardo e, quindi, in quello di Adone, cioè in compilazioni del secolo IX, in quelli che vennero definiti ‘martirologi storici’. Da qui la circolazione del nome di Cristanziano e, direi, particolarmente in ambito monastico. Dalla edizione critica del Geronimiano, uscita nel 1894, vediamo che con il nome CRISSANTIANI, ovvero CRISENTIANI e, ancora, CRISANTIANI, si indica una festa, o memoria, alla data di ‘XIII. Kalendas martii’, cioè al 17 febbraio. Questo nome, nelle forme suddette, è in tre codici base del Geronimiano e sicuramente anche in altri consimili, i quali localizzano il martire ad Aquileia, importantissimo centro ecclesiastico, oltre che politico, paleocristiano e fucina di martiri come Ermagora e Fortunato, già del 1° secolo!
Nel Commentario al Martirologio Geronimiano, che venne pubblicato nel 1931 ad opera di Hippolite Delehaye (AA:SS:Novembris, tomus II, pars posterior), il grande Studioso fece notare che “Crisentianus Aquileiensis erat, sed non alius a Crisogono” , vale a dire che Aquileia non conobbe mai né Crisentiano, né Crisante, giacché questo nome s’era formato per un difetto di lettura di CHRISOGONUS, parimenti, come è noto, attribuito ad Aquileia! Questo errore, però, si è ripetuto, come accennavo, nei martirologi storici e, direi, anche oltre e ciò avrebbe contribuito a fissare storicamente una determinata tradizione cultuale, che prima di tutto è ‘culturale’.
E non sarebbe questo l’unico caso nell’universo santorale occidentale in età tardo antica ed altomedievale! Rimanendo per un attimo alla sola problematica nominale, che si riaffaccerà in età basso medievale, come vedremo, per esempio con la variante CRISCINTIANI, ricordo che il Marcucci s’abbandona ad una paraetimologia del nome Christantianus non priva di fascino, ma del tutto arbitraria, dicendo appunto Cristanziano “il più antico, anziano” seguace di Cristo in Ascoli, a seguito della evangelizzazione di Emidio, ai primi del IV secolo! E lo dice esibendo un dato mai documentato, tantomeno da lui, ovvero quello del battesimo cristiano del Nostro a seguito del quale, o per il quale, il neofita avrebbe assunto il nuovo nome di ‘Cristanziano’, dismettendo quello gentilizio e pagano.
Se la lezione di Delehaye è certamente valida e plausibile e, comunque, da avere sempre in debita considerazione, è un fatto che la circolazione dei testi martirologici ebbe un ruolo rilevante per l’affermazione del nome e il sicuro avvio del culto: anche se è lecito pensare che non ne costituì l’unico ed assoluto fattore.
Da questo punto di vista potrebbe sussistere una sostanziale differenza tra il Cristanziano di Aquileia e quello di Ascoli. Non solo la festa e il luogo del martirio divergono in queste due tradizioni. Ma è certo che la più antica dovette contare di più.
Queste differenze, però, più supposte che reali, hanno a che vedere, infatti, con una stratificazione delle narrazioni non ancora chiaramente individuate. Un più antico contributo a questa problematica, come accennavo, ci viene da un documento del cartulario di San Clemente a Casauria, datata 23 novembre 1171, che precederebbe cronologicamente la tradizione ascolana.
In esso si ha la concessione livellaria, con chiari intenti feudali, da parte dell’abate-cardinale di Casauria, Leonate (+1182) a favore del nobile Mallerio del fu Mainerio di Palena. L’abate cedette il ‘quoddam tenementum quod dicitur sancti Cristantiani’, senza ulteriori specificazioni, che è sito nel territorio Pennese, al di là del fiume Cigno, nella pertinenza del castello di Alanno. In questo predio, poi, esiste anche una chiesa dedicata a san Cristanziano, che è chiaramente eponimale del contesto, il cui cappellano è e rimane nell’esclusivo diritto di nomina e di giurisdizione del monastero. Questa chiesa mi appare di più recente fondazione, in una evidente funzione colonizzatrice del territorio. Infatti non se ne ha ulteriore menzione in tutto il voluminoso cartulario casauriense.
Ma, attenzione! Conosciamo la famiglia del ‘nobilis’ concessionario nell’universo tardo normanno abruzzese. Essa è di Palena. Non sarà un caso, come dirò, ritrovare anche lì, a Palena, nei primi decenni del Trecento san Cristanziano!
Va, poi, ulteriormente verificata la notizia per la quale Manierus de Palena, unitamente a Matheus de Pectorano , sarebbe coinvolto nella storia di Agnone del XII secolo. Nel 1144 sarebbe avvenuta la donazione della chiesa di San Marco di Agnone all’eremo di san Nicola sul monte Caprario, disposta da Gualterio Borrelli. Questo eremo si trovava soggetto a san Pietro Avellana, il cui prevosto era tal Frà Maccabeo. Questa donazione sollevò pure una controversia tra detto Maccabeo e due signori abitanti in Agnone, Manierus de Palena, appunto, e Matheus de Pectorano. (C.e A. Arduino, Dalle Radici al reazionalismo. Origini-1799, Agnone 2003, pg.141, nota 46). Il dato casauriense appare importante, anche se ambiguo, perché presupporrebbe, a questo punto, una diffusione di Cristanziano proprio ad opera del signore normanno ‘di Palena’.
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In ogni caso, bisogna riconoscerlo, noi procediamo in questa ricerca ancora a tentoni! Non è affatto detto, infatti, che si possa ricostruire un rapporto diretto del dato storico cultuale di Cristanziano, così come determinatosi in Ascoli ed Agnone, con la nozione del Geronimiano e compilazioni successive. Ben avvertiti, allora, delle difficoltà che ci fronteggiano, occorre elevare il livello della ricerca, conoscendo meglio, intanto, le fasi cultuali locali delle tradizioni a noi note, tra cui spicca quella di Ascoli Piceno e di queste tradizioni individuare al meglio le radici culturali.
In una tale prospettiva si colloca l’esperienza documentataci nelle ‘Rationes Decimarum’ dell’Abruzzo e del Molise del monastero cistercense di San Vito al Trigno e di altre località, a cui pure accennavo, in diocesi di Chieti.
Nelle dipendenze del quale esiste la chiesa ‘sancti Criscintiani de Archano (Atessa) e nello stesso territorio di Palena, come accennavo, quale dipendenza di San Panfilo, cattedrale di Sulmona, abbiamo la ‘ecclesia sancti Criscintiani’.
Sempre come dipendenza di San Vito, a Roccascalegna (Chieti), sono situati i beni del monastero ‘sancti Brancatii’, che possiede la chiesa ‘sancti Criscentiani’. Il caso di Atessa, infine, andrebbe meglio approfondito, perché attorno al 1345 quel territorio appare dominio feudale dei de Sabran, come meglio dico appresso, signori di Agnone (C. e A. Arduino Dalle radici al razionalismo, Origini – 1799, cit., pag.168, note 23 e 24). Ma in diocesi di Chieti mi appare emblematico anche l’assetto ecclesiastico di San Martino sulla Marrucina, anch’esso registrato nelle ‘Rationes’.
Qui, dove San Cristanziano è ancora Patrono cittadino (e, si badi, come diacono e martire, in aderenza alla tradizione ascolana) nella Decima del 1324-25 è indicata la chiesa ‘sancti Criscintiani’, il che tra l’altro chiarisce trattarsi proprio di Cristanziano. La configurazione devozionale di San Martino sulla Marrucina appare collegata, anch’essa, forse come quella atessana, alla tradizione storica di Agnone, perché i due Centri, a inizio Trecento, ebbero in comune le figure dei feudatari dei de Sabran (Sabrano), un esponente dei quali, Eleazario, tra il 1373-1378, fu anche vescovo di Chieti, non esente dai parossismi politici e religiosi provocati dallo Scisma d’Occidente. Nel 1314, infatti, e ancora nel 1326 Guglielmo de Sabran è signore di Agnone e dunque operante in quel contesto socio-religioso in cui si afferma la chiesa “ascolana” – se posso dire – di Sant’Emidio di Agnone. Ci attende, a questo punto, uno scavo documentario più profondo e circostanziato nelle documentazioni agnonese e teatina, civili e religiose.
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Adesso cerchiamo di entrare un po più nel vivo della realtà storica agnonese, appena evocata, in cui continuiamo a studiare il culto di san Cristanziano ed in questo per cercare di individuare meglio la fase di esso, che è data dal fatto che il Santo, ad un certo punto, diventa il Patronus Civitatis, quindi il ‘signum’ identitario per eccellenza, sulla base di un progetto, direi, comunitario, religioso e civile, di cui ancora sappiamo troppo poco.
Siamo innanzi così ad una problematica storica ancora più vasta ed avvincente, perché del fatto religioso e devozionale è l’intero concesso civile e, perciò, anche del governo locale, quindi politico ed istituzionale, a nutrirsi ed a definirsi idealmente, all’interno di un più articolato disegno di affermazione identitaria che mai si arresta.
Possiamo chiederci: Agnone un santo Patrono lo aveva già e di quelli più illustri e noti che si potesse: l’evangelista Marco! Perché cambiarlo, o, per meglio dire, ‘sostituirlo’ con una figura che non poteva eguagliare in fama e notorietà quella di Marco, cioè con un quasi ‘sconosciuto’ Cristanziano? Che progetto sottintendeva questa iniziativa? E quali le istanze che la motivavano? A leggere l’Ufficio Liturgico di San Cristanziano della diocesi di Trivento, pubblicato nel 1857, ma che aveva un retrotella scritturistico di almeno due secoli, si ha, immediatamente, che il 13 maggio si solennizza la memoria di san Cristanziano, ‘vescovo e martire’. E’ una formulazione perentoria, direi quasi apodittica! Nella Lezione IV del Notturno si dice che il santo è nato in Ascoli Piceno dalla nobile famiglia dei Bassi e che fu collaboratore di sant’Emidio, con cui fu diacono. Forse un’allusione al suo divenire vescovo potrebbe ravvisarsi in questa espressione della Lezione V, che segue al martirio di Emidio:
At fortis Christi Athleta, nullas veritus Polimii minas, in Emygdii sortem vocatus, eodem, quo ipse, zelo, charitate, virtuteque praefulgens ‘commisso sibi gregi’ emici, vitia extirpavit…etc.
Il brano è del tutto simile, parola per parola, all’Ufficio liturgico di Ascoli. Ma per gli Ascolani, nel medesimo Ufficio, Cristanziano è si “nobili et consulari Bassorum propsapia ortus” , ma anche “Primus in diaconorum numero atque in praedicationis munere cooptatus” . A ribadire queste sostanziali concordanze, fatta eccezione per la radicale differenza vescovile, rilevo il titolo stesso dell’Ufficio Liturgico di Ascoli, che è del 1803, in cui si scrive: “In festo sancti Christantiani martiris Patroni principalis Civitatis Angloni, nec non Terrae Casalium Cypranorum (Casalciprano nds.) Triventinae dioecesis”.
Come si diceva, però, ci sono pure le differenze da considerare e spiegare. In Ascoli abbiamo anche preziosi contributi iconografici, che illustrano la figura diaconale, o levitica di Cristanziano. Il più celebre, ma non il più antico, di questi veri e propri testi figurativi è quello di Cola dell’Amatrice (1480-1547), nella Tavola di San Vittore, oggi nella Pinacoteca Civica. Ma si considerino anche le raffigurazioni di Paggese e di Lisciano, certamente del secolo XV.
In Agnone, al contrario, la fase iconografica del culto si rivela fin qui più recentemente, attraverso due contributi della pala d’altare della Cappella di san Cristanziano nella Matrice e nella statua ancor oggi in uso. In ambedue i casi si tratta di una figura vescovile, di cui tornerò tra poco a dire.
Nonostante questa non trascurabile differenza, mi preme tornare a riflettere sugli indubbi contatti tra Ascoli ed Agnone che non la motiverebbero; contatti che probabilmente possiamo cominciare più avvedutamente a datare già nel Duecento. Un documento del 1232, infatti, relativo alla consacrazione della chiesa di Santa Maria ‘de Anglono’, ci parla delle reliquie che in essa si conservavano.
La chiesa era stata gestita dai Frati Minori e, quindi, come “ecclesia Magellensium” venne ceduta ai Monaci Celestini. Tra le reliquie si nota quella “DIMIDII MARTIRIS”, che ritengo essere sant’Emidio, benché la dizione sia priva dell’attributo vescovile. Il che si spiega con il fatto che siamo ad inizio Duecento , quando ancora si aveva il testo che, successivamente, diffonderà enormemente la figura del Patrono di Ascoli, attribuito al discepolo Valentino.
Una operazione editoriale, questa, che ha anche a che vedere con le nuove tensioni espansive di Ascoli non solo nel Piceno meridionale, ma anche qui, in pieno Regno di Napoli ed in Agnone, dove, appunto, si realizza con la chiesa emidiana il monumento forse più insigne di questi rapporti intercittadini. E’ del tutto verosimile, a questo riguardo, che il vescovo Pitocco leggesse un documento, o una memoria documentaria, scrivendo agli Ascolani e precisando che la chiesa da loro edificata avesse un rettore e ben sette sacerdoti insediati e provveduti del loro sostentamento. Non è poco! Direi un vero e proprio investimento!
L’aggiornamento, diremmo così, che si attua in Ascoli, pertanto, nel Trecento della biografia di Emidio, a cui ancor più chiaramente si attribuisce una cerchia di collaboratori (già nel 1206, ad esempio, si parla delle reliquie di Euplo, che con Germano e Valentino è uno dei suoi ‘tre compagni’, diremmo canonici) non sarà stato privo di effetti anche qui in Agnone.
Ma il dato Patronale di Agnone è pur certo in questo periodo e va rilevato. Nelle Assise e Capitoli degli Statuti della Terra di Agnone, datati all’agosto 1444 (editi da F. La Gamba) è chiaramente stabilito che, in quel tempo, il Patrono cittadino è San Marco Evangelista:
“Nella Chiesa di san Francesco – recita di documento – di detta Terra ad onore ed ossequio dell’Onnipotente Iddio e del Nostro Signore Gesù Cristo e della di Lui Santissima Madre, la Gloriosissima Vergine Maria e del Beatissimo Marco evangelista di Cristo, “sotto il cui scudo e patrocinio la stessa Terra è custodita”.
Ora, al di là, o al di qua del preziosissimo dato storico, inoppugnabile, così tradito da questo documento solenne, noi vediamo chiaramente postulata in esso la funzione del Patrono Cittadino, che è essenzialmente salvifica, giacché Egli opera una fondamentale mediazione con il divino e che questa si esplica in una iniziativa difensiva, di rappresentanza ed, infine, di salvaguardia nel tempo. E’ dunque una iniziativa proiettata nel futuro e nella storia!
Bisognerà tener presente, allora, tutto questo allorché, sia pure in un contesto locale e temporale necessariamente diverso dall’originario, il ruolo tutelare del Patrono sarà di san Cristanziano, con le sue specifiche attribuzioni, ma non diverse finalità.
Mons. La Gamba ha poi ricordato, editando lo Statuto appena citato, come si debba ai Veneziani l’introduzione agnonese del culto marciano, che – riporto testualmente – “specie per opera dei Borrello esercitarono il loro influsso in Agnone e vi recarono la loro arte specie per lavorare il rame e l’oro”.
E’ ragionevole pensare che anche gli Statuti più antichi, approvati da Ladislao nel 1404, prevedessero ed attestassero la stessa cosa. E dovremmo pure ritenere che tra il sec. XI e gran parte del XIII, quasi per circa duecento anni, tanti quanti furono quelli della dominazione dei Borrelli, lo spirito mercantile ed imprenditoriale dei Veneziani operasse in Agnone.
Per questo abbiamo in Agnone, caso forse non unico nel Mezzogiorno italiano, ma certamente originale, l’interazione tra Ascolani e Veneziani e potremmo considerare questa esperienza storica anche quale laboratorio culturale, destinato ad emanare anche esternamente i suoi influssi in tutta la regione contermine. Nel 1274, pensate, per la prima volta i Veneziani installarono un console mercantile in Abruzzo, mentre nel 1326 Venezia ed Ascoli siglarono un trattato commerciale, o, per meglio dire, di pace “commerciale”, che evidentemente scaturiva da un passato, recente o meno, di gravi tensioni. L’argomento interessantissimo è di vasta portata ed andrebbe veramente recuperato allo scenario storico che abbiamo soltanto e timidamente evocato!
Perché è nei fatti dell’economia, degli scambi, dei rapporti sociali che essi determinarono, che si affermò e si rivelò certamente anche la sensibilità religiosa e il senso più vivo e conseguente della pietà popolare. In questo senso ricordo soltanto la reciprocità degli scambi tra Maltignano, alle porte di Ascoli con gli Agnonesi; Maltignano, baronia del Capitolo Cattedrale di Ascoli, dove Cristanziano è Patrono cittadino forse già dal secolo XVI ed in cui i mercanti Agnonesi – questa volta il rapporto è invertito – furono ancora presenti a metà Settecento, attraverso i ramai!
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Alla luce di queste considerazioni e tornando alla realtà storica di Agnone, non è superfluo avvertire che fatichiamo non poco a circoscrivere nel tempo una prima e più antica menzione di Cristanziano. Abbiamo anche difficoltà, io penso presto risolvibile almeno sul piano documentario, a definire cronologicamente il passaggio della figura di san Cristanziano al ruolo effettivo di Patrono Cittadino. M’accorgo che in tal senso è stata proposta la data del 1608, allorché si sarebbe istituita anche la festa di Sant’Emidio. Mi spiace rilevare, però, che la notizia è stata proposta in un modo un poco equivoco, almeno su di una base di più corretta trasposizione documentaria. (C. e A. Arduino, Dalle origini al razionalismo. Origini – 1799, cit., pag. 252, in cui si ricorre, alla nota 444, al noto testo del Marcucci, Saggio sulle cose ascolane, etc, che, però, non affronta il problema di Agnone.! Piuttosto qui si sarebbe trattato, come gli Autori indicano , proprio del più volte citato testo epistolare del Pitocco, da me non rintracciato e che verosimilmente è quello che, a ben vedere, tradisce la data del 1608!). Tuttavia , a questo riguardo, mi permetto, sempre sulla base di una documentazione ancora parziale ed incerta, che questa assunzione di ruoli identitari avvenga nel contesto di una iniziativa, di un dibattito interno alle istituzioni cittadine del governo locale e non già per diretto impulso dell’autorità ecclesiastica. La quale, mi par di poter dire, venne chiamata più a ratificare una scelta che dovrà essere stata, ripeto, essenzialmente civica. Ben inteso, quando dico civica vi inglobo, necessariamente, il clero locale, perché espressione della società agnonese di età moderna. Occorre distinguere il ruolo istituzionale da quello sociale e cittadino del clero locale, che in Agnone dovette avere particolare incidenza e con il quale, in età di Controriforma, dovettero seriamente confrontarsi i vescovi triventini più attenti ed avveduti.
Non diversamente dovette, per esempio avvenire, nel 1707, come rilevo da documenti dell’Archivio Storico Comunale di Agnone, per l’elezione a Compatrono cittadino da parte del Consiglio civico della figura di Antonio da Padova, certamente mediata dall’importante nucleo Conventuale della Città, ma non casualmente prescelto, proprio a causa del terremoto dell’anno precedente, a Compatrono, accanto a Cristanziano e, quindi, alla martire Teodora.
E qui, per inciso, dovremmo altresì rilevare un certo scarto valutativo rispetto alla figura di Emidio, presente da secoli in Città, antesignano delle virtù salvifiche antitelluriche, come è noto, che non è nemmeno citato nei verbali pubblici, appunto, che si occupano, sia pur indirettamente, dell’evento sismico del novembre 1706!
Perciò la scelta del nuovo Patrono potrebbe costituire l’esito di una convergenza di interessi nel quadro dell’incessante rinnovamento identitario locale tra clero secolare ed Istituzioni pubbliche, per ragioni di carattere economico-sociale e culturali. In poche parole abbiamo bisogno, da questo punto di vista, per comprendere meglio le scelte operate, di studiare la sensibilità culturale, la mentalità collettiva di Agnone nella prima e tarda età moderna.
Ed un indizio più che significativo di questa osmosi culturale dei ceti dirigenti cittadini anche sul piano religioso e delle devozioni con il clero secolare locale lo abbiamo attraverso un apparentemente innocuo documento del 15 settembre 1635, al tempo del vescovo Scaglia (1633-1644) a cui si deve tra l’altro l’iniziativa di un ulteriore indirizzo devozionale in Città, con l’introduzione del culto di Santa Teodora, su cui bisognerebbe tornare.
E’ la Sacra Congregazione dei Riti, questa volta, a muoversi per richiedere il vescovo triventino, affinché si pronunciasse nel merito di una istanza rimessa a Roma dal clero agnonese. Il quale, a tenore dei provvedimenti di riforma in materia di culto dei santi del pontefice Urbano VIII, era stato costretto a sospendere la solennità di san Cristanziano, giacché figura non compresa nel Martirologio Romano vigente.
Da questa comunicazione, intanto, si ha che già nel 1635 Cristanziano è il Patrono cittadino di Agnone e che tale festa, il 13 maggio, si celebra da “tempo immemorabile”, il che, poi – molto spesso – rappresenta un topos ricorrente in materia, per supplire alla storia effettiva! Non solo! L’istanza sottolinea che si recitava l’Ufficio liturgico del santo e che la sua festa era di rito doppio. Perciò il clero, nella necessità di ottenere una espressa autorizzazione della Congregazione, a tenore dei decreti papali, chiedeva di poterla continuare. E da qui la richiesta di un espresso parere vescovile, che per il momento non ci è dato conoscere. Posso dire che sono recentissimamente è stato individuato nella Biblioteca dell’ex convento di San Francersco dei PP. Conventuali di Agnone un Breviario ottocentesco (Breviarium Romanum ad usum fratrum Minorum Sancti Francisci Conventualium – ed. 1844). All’altezza della pg. 109 dello stesso vi si trova inserito un supporto cartaceo, in parte manoscritto ed in parte a stampa. La parte stampata è chiaramente derivata da una pubblicazione eseguita a Napoli, nel 1804 (Ex Typographia Pereriana), durante l’episcopato triventino di Mons. Luca Nicola de Luca (1792-1819 e +1826), del quale si riproduce lo stemma. Questo supporto, che costituirebbe un allegato al Breviario, contiene lezioni del secondo Notturno – 4^, 5^, 6^ – dell’ Ufficio di San Cristanziano: “ Die XIII. Maij. In festo S. Christantiani Levitae et Martyris. Duplex I. Classis”.
Ma andiamo oltre. I dossier che eventualmente si costituirono a Roma, presso i Riti, sono di estrema importanza per la storia dei culti ed Ascoli sicuramente inciampò nello stesso problema, per via delle riforme urbaniane. Di fatto la sua vicenda si decise tra Settecento e Ottocento, ottenendo, nel 1803, da Pio VII la ‘ riapprovazione’ dell’Ufficio liturgico di san Cristanziano. Ed anche Agnone, tramite Trivento, dovette riottenere il ‘suo’ Ufficio, che nella variante del 1857 fa di Cristanziano un vescovo. Resta in sospeso, per ora, lo studio di quello più antico, citato, appunto, nel 1635. Quello del 1804, così come in Ascoli, afferma, altrettanto perentoriamente:
“Primus in diaconorum numero, atque in predicationis munere cooptatus..etc.”!
Che l’ostacolo determinatosi nel 1635 si fosse di fatto superato, pur senza risolversi, come sembra, per l’Ufficio, dal clero agnonese ci è confermato nella visita pastorale del 22 ottobre 1675 – vacante la sede tridentina – effettuata dall’arcidiacono Francesco Pecorelli. Ma va rilevato che nella visita precedente, dell’8 giugno 1613, eseguita dal vescovo Pietro Paolo Bisnetti (1607-1621), non si ha nemmeno un accenno a san Cristanziano. Con ordine! Nel verbale del 1675 si dice chiaramente che nella Matrice esiste l’altare di san Cristanziano:
Altare sancti Cristantiani Universitatis eiusdem Terrae Protectoris, celebrando in eo semel hebdomada pro eadem Universitatem..etc”.
Ciò che un sessantennio prima aveva fotografato il verbale di santa visita è successivo al grave incendio che colpì la Matrice, nel Natale 1610. Incidente, questo, di cui esiste una ricognizione di pochissimo successiva, datata 28 dicembre 1610.
Da questo scritto sembrerebbe che la Chiesa nel suo interno fosse andata quasi completamente distrutta. Ma, a mio avviso, è una impressione da dover ridimensionare. Il Visitatore di tre anni dopo, infatti, annota – senza peraltro menzionale l’incendio – : “!…sunt duodecim iconae sanctorum sculptiles diversorum sanctorum et sanctarum, omnes bene dispositae et in parti bus deauratae—etc.”.
Con queste statue rimase integro, o forse rifatto di nuovo, il vessillo di seta rossa con l’immagine di san Marco ed anche la croce argentea con crocifisso, che s’era salvata dall’incendio.
Si parla anche di una teca con reliquia non identificata, ma non sarei sicuro trattarsi di quella contenente la reliquia insigne di santa Teodora, la cui traslazione, come accennavo venne promossa dal vescovo Carlo Scaglia (vescovo dal 1633), sostenuto dallo zio cardinale, Desiderio Scaglia e che è successiva agli eventi dell’incendio.
La reliquia fu prima in santa Chiara e poi in san Marco, né mi para possa essere attribuita al ‘fantomatico’ Diodato, i cui resti sono ancora in San Marco di Agnone. Il verbale della Visita pastorale del 1613 è chiaramente sommario e superficiale, sicuramente in conseguenza dello stato conservativo dell’edificio, mentre proprio per questo avrebbe dovuto essere più preciso e puntuale. Di fatto la Matrice, come è noto, venne riconsacrata il 29 agosto 1725 dal vescovo Maricomba (1717-1735). Non possiamo perciò ritenerlo semplicemente omissivo, o intenzionalmente tale circa il culto di san Cristanziano, ma, diciamo così, semplicemente ricognitivo.
Ma, a proposito del culto cristanzianeo, più recentemente, notiamo uno sforzo ricostruttivo sul piano storico da parte degli stessi Agnonesi – non meno difficoltoso del mio – a ben vedere, e che per certi versi si risolve nell’esercizio, anch’esso molto antico ma mai desueto, di un metro interpretativo leggendario e favolistico della vicenda locale di Cristanziano. Non solo ci confrontiamo, a questo livello, con la “leggenda” del santo Cristanziano, mediata da Ascoli evidentemente, ma anche con l’altra, tutta locale, che ambisce a costituire il racconto storico-agiografico del suo patronato cittadino. In un appunto anonimo – necessariamente, credo, anonimo – rinvenuto nell’archivio di San Marco e che non saprei meglio datare se non in epoca relativamente recente (fine Ottocento?), trovo sintetizzato un racconto favoloso non privo di interesse.
Vi si scrive che Cristanziano è ascolano, discendente della famiglia dei Basso (il profilo ‘nobiliare’ è sempre messo in evidenza). Egli fu ‘successore di sant’Emidio nella cattedra ascolana’ ed è per questo che lo si raffigura in età avanzata, con paramenti episcopali, “mentre egli fu martirizzato all’età di anni trenta”. E qui il racconto risolve questa svista biografica, di cui pure sembrerebbe tener conto, con un avvenimento miracoloso: l’apparizione di San Cristanziano agli Agnonesi! Senza tuttavia indicare un sia pur minimo dato cronologico della stessa.
“ E’ tradizione – continua l’Anonimo estensore dell’appunto – che così, in età avanzata apparisse ai nostri antenati (tra le nubi del cielo, minaccioso di di struggitrice procella sulla nostra Città, avente un angelo, a destra, recante sul capo un libro carico di fiori ed , a sinistra, un altro angelo recante la palma del martirio. Nunzio di sereno, di calma, di benessere, di tranquillità…etc”.
Non c’è dubbio che questa sia anche la puntuale descrizione della pala dell’altare di san Cristanziano nella Matrice agnonese; opera pittorica che fin qui io non ho potuto datare, né attribuire. L’immagine, ancora vigente in Agnone di San Cristanziano è, appunto, quella di un vescovo! Sul piano scultoreo, poi, ed in coerenza con la raffigurazione pittorica, o viceversa, l’immagine agnonese è meglio identificata. Leggo nei testi del compiano amico senatore Sammartino (1982) che trattasi di una immagine ‘adottiva’, la quale originariamente raffigurava san Benedetto abate! E trovo conferma di questo in diversi racconti.
Ci sarebbe da chiedersi, a questo punto, se sia l’immagine ad ispirare il racconto della tradizione, oppure se sia questo a rivelare l’immagine! Ma il racconto a me sembra più capzioso di quanto possa apparire. Esso stà, per me, all’origine dell’immagine! Recupera un tratto essenziale del patronato salvifico del santo di Ascoli e cioè quello contro le grandini e le tempeste, ben illustrato ulteriormente dal Marcucci. Non solo! Acquisisce il giorno della festa ascolana, il 13 maggio, così come fanno gli stessi Uffici liturgici triventini in accordo con gli ascolani.
A nessuno di noi sfugge l’importanza del testo narrativo, fosse anche raccolto dalla tradizione orale. Diceva il ‘grande’ Delehaye – che mi piace citare spesso – a proposito delle leggende agiografiche: “Ciò che la storia ignora, la leggenda conosce”.
E questo agnonese m’appare un ulteriore caso emblematico di tale fattezza, direi di scuola, in piena età moderna.
Se dunque la leggenda – ed è questo il senso del gesuita Delehaye – è una manifestazione della cultura e della conoscenza, essa è un fatto storico da indagare e rilevare attraverso un rigoroso metodo storico! E che in Agnone avesse corso una ‘tradizione’ di questo tipo lo rilevo anche da una sommaria ricognizione documentaria, che vorrei tanto approfondire.
In un verbale consiliare della Universitas agnonese del 3 luglio 1712, si dà conto di una controversia, molto interessante al nostro scopo, tra la Curia diocesana ed, appunto, il governo locale di Agnone.
In quel verbale, reperito nell’Archivio Storico Comunale di Agnone (Scatola IV R. Materiale restaurato. Consigli Generali 1575-1724, fasc. 62, fol. 1 v), si scrive che ‘in tempo della Visita passata è stato ordinato dal Vicario Generale – (era vescovo Antonio Tortorelli 1684-1715) – che l’Università havesse dotata la Cappella del nostro Protettore S. Christanziano’.
Il Consiglio deliberò che, per intanto, si fosse chiesta la revoca di quel decreto e che, ‘più volte non s’ottenesse’, si sarebbe solennizzata la festività del santo nella chiesa di San Francesco dei PP. Conventuali, ‘in qualche altare che parrà a detti Religiosi…anche con farsi la nuova statua se occorrerà…etc’.
Questo documento, veramente emblematico, prefigura uno scenario storico degno del più grande interesse e che, al di là del rapporto strettissimo del Comune con il clero regolare, che va approfondito assolutamente, spinge a considerare diversi aspetti della vicenda.
Dunque una statua del santo esisteva. Essa era detenuta dal clero secolare di san Marco e, quindi, possiamo dire, dalla stessa autorità vescovile! Era quella la statua attuale? Oppure questa è successiva a quella evocata nel 1712? Era quella di un vescovo, oppure di un diacono?
E, poi, l’aspetto sostanziale. Era vero che la Cappella di san Cristanziano nella Matrice, costruita dall’Università, non era dotata di beni che ne garantissero (per il clero secolare!) il funzionamento. O a questo tendeva il clero regolare, così fortemente legato al governo laico cittadino?
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Entro limiti cronologici ancora precari indicherei tra fine Cinquecento e primi del Seicento l’affermazione in Agnone della figura di un nuovo Patrono cittadino, san Cristanziano.
Non abbiamo notizie, come accennavo, di più antiche immagini rispetto le attuali, anche se – mi sia consentito – il sospetto è forte riguardo alla adozione della figura vescovile; un sospetto probabilmente legittimato dalla necessità, evidente, di una distinzione, a questo punto, dalla gestione ‘secolare’ della festa cristanzianea, con tutte le sue conseguenze pratiche, per farne. Invece, una sostanzialmente ‘municipale’ e borghese! Mi fermo qui, per adesso.
E, tuttavia, ancora una volta e a scanso di ripetizioni, devo affermare che facciamo fatica anche a ricostruire bene i segmenti di un culto più antico, che certamente ci fu, se non altro nell’alveo di quello emidiano, che in Agnone mise radici, probabilmente, già nel Duecento. Ma questa è un’altra storia, non meno degna della più recente, che configura un più preciso schieramento di forze e di concreti soggetti storici.
Non mi resta che ricordare una tappa importante del culto agnonese di san Cristanziano che si determinò – nel momento, forse, di più controverso e per questo ammirato fulgore del suo ruolo identitario – in pieno Settecento, con la esibizione della sua reliquia, ancora oggi venerata. Qui, in questa Matrice, esiste un’autentica di detta reliquia, rilasciata in Ascoli, il 12 luglio 1778, da quel vescovo, Pietro Paolo de Leonardis, o Leonarsi (1755-1792). Vi si scrive:
“…fidem facimus indubiam atque testamur, qual iter nobis esibiti pluribus sacriis reliquiis, eas quibus extraximus particulam ex ossibus sancti Christantiani martyris…”.
Questo documento fu visto dal vescovo tridentino Gioacchino Paglione (1771-1790), mentre era in Santa Visita a Carovilli, il 17 novembre 1778. E, finalmente, la reliquia venne donata – mi permetto di dire, non a caso! – dal Padre domenicano agnonese, Placido Maria Sammartino (probabilmente già dimorante nel convento domenicano di san Pietro Martire di Ascoli Piceno), mediante rogito del notaio Tiberio Maria Farina di Agnone, del 22 novembre 1778. La reliquia, di fatto, sanzionava la ‘storicità’ del santo e con essa tutta l’iniziativa ad ‘elevarlo’ Patronus Civitatis!
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Tanto con san Marco evangelista, quanto con san Cristanziano, ma potremmo aggiungere Teodora e Antonio di Padova, Agnone fondò il ‘patronato salvifico’ cittadino su figure santorali esterne alla sua storia, a cui nei secoli affidò il progetto della costruzione e del consolidamento della sua identità locale. E con Cristanziano questo progetto vorrebbe farsi più incisivo e convinto, perché mi sembra esplicita una sua ‘territorializzazione’. L’apparizione del vescovo santo è una rivelazione eclatante della sua appartenenza agnonese!
Sul suo profilo episcopale, poi, occorrerebbe riflettere ulteriormente. Ho voluto delineare solo alcune linee interpretative al riguardo.
Intanto occorrerebbe valutarne la storicità figurativa, come appunto alludevo.
E’ stato sempre così che lo si è pensato? Lo vedevano così, per esempio, i Minori Conventuali di San Francesco? Questa matrice vescovile, inoltre, potrebbe dare luogo anche ad una più profonda problematica pastorale, del tutto inavvertita negli studi e che coinvolgerebbe il ruolo stesso dell’ordinario diocesano nel processo di riforma liturgica e non solo. Probabilmente questa problematica insorse, o si riattivò sensibilmente, con la ricostruzione settecentesca della Chiesa Matrice, in cui potette emergere più nettamente una sentita istanza pubblica nella sontuosa riedificazione della Cappella del Patrono, che è celebrazione di una reciproca, anche se contrapposta, rappresentazione.
E c’è poi da valutare quello che definirei il quadro devozionale e liturgico, mediato, questa volta direttamente, dall’autorità ecclesiastica, ma in cui vivevano fortemente le istanze ‘localistiche’, mi si passi il termine.
Bisogna infatti chiedersi ancora come si fa e perché a passare da un Ufficio liturgico, antico di secoli, a sostanzialmente un altro del tutto innovativo?
Tutto ci indica, fin qui, infatti, che su questo piano la figura del martire Cristanziano sia per così dire slittata e si sia quindi trasformata anche a livello gerarchico, persino, appunto, nell’ordine sacro, sulla base non già della ‘storia’ dei Santi, ma di quella degli Uomini!
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Non ho fin qui menzionato, se non per una citazione testuale, il caso di Casalciprano, che rappresenta un momento, al tempo stesso, di esportazione e d’ approfondimento cultuale, mediato, però, dagli Agnonesi stessi. Non ho potuto fin qui documentarmi meglio. So, però, che è un caso significativo – valorizzato dagli stessi Ascolani – lo studio del quale andrebbe esteso ad altre località molisane.
E so pure di aver abusato fin troppo della vostra pazienza, cari Amici. Mi affretto a concludere, ricordando alcuni capisaldi riproposti dal Marcucci al vostro vescovo Pitocco, nel 1758. Cristanziano sarebbe nato in Ascoli attorno al 280 d. C., per morirvi martire, nel 310 d. C. Ricevuto il battesimo dal protovescovo Emidio, assunse il nome con cui lo conosciamo. Ma va detto che, come anche in Agnone, non si dimenticò il suo gentilizio ‘consolare’! Fu poi diacono e si dette ad una intensa evangelizzazione, durante la quale trovò il martirio, il giorno 13 maggio. E, mentre lo subiva, ad instar del levita protomartire cristiano Stefano, il Cielo stesso ne fu contrariato:
“..risentissene tosto il Cielo – scrive il Marcucci – mentre a forza di spaventevoli tuoni ed orribili lampi, uniti ad un turbine furioso di venti e di grandine…”.
La sua intercessione si manifestò ben oltre la morte, perché in diverse circostanze apparve, insieme ad Emidio, agli Ascolani, ai quali si propose anche nel promuovere la pace e la concordia nelle ‘tempeste’ degli scontri tra fazioni civili!
Costituisce Egli, in questo modo, un modello di santità molto più recente di quello supposto in antico e di tipo schiettamente urbano. Ma si impose anche, sia pure con qualche difficoltà perché in certi casi venne letteralmente sostituito da santa Eurosia, come a Porchiano, presso Ascoli; si impose anche nel mondo agricolo del contado ascolano, proteggendo i campi e le colture, dunque i contadini! Ma sempre, io credo, con una sua costante relazione urbana e cittadina, perché Ascoli ebbe un vitale bisogno di salvaguardare il suo Contado e, quindi, la produzione essenziale alla sua sopravvivenza, soprattutto nel settore cerealicolo. A Portella è raffigurato con le spighe di grano in mano!
L’ “invenzione “ agnonese, proprio nel senso storico letterario del termine, che è quello di scoperta e di riconoscimento della figura salvifica, evocherebbe un ruolo del Patrono dalle distinte connotazioni civili, del vivere civile, nel crogiuolo dell’età moderna. Ma queste connotazioni sono più ideali che concrete. Esse appartengono all’ ‘uso’ del santo e, quindi, alla sua specifica finalizzazione storico-provvidenzialistica, sulla quale, per Agnone, certo, dobbiamo ancora indagare.
In tal senso ben si adatterebbe, al di là delle stesse differenze di forma e di costume, sulle quali dissi, tra Ascoli ed Agnone; ben si adatterebbe ciò che il Marcucci scrisse nella invocazione del santo e che, poi, resta ben iscritto nella motivazione politica del gesto cultuale. Marcucci produsse e lo inviò a Pitocco il suo Responsorium sancti Christantiani Martyris et Levitae Asculani. E qui risuonano queste parole:
Si pacem quaeris Civium
Christantianum invocat:
ignis, grando, litigia
ad eius nomen fugiunt
Ed è così che, in ogni tempo, s’infiammano i cuori e si riconosce nell’invocazione stessa il desiderio di un senso di appartenenza, conquistando il quale, sia pure provvisoriamente, la Città vive i suoi splendori e si consola dei suoi antichi dolori.
Grazie.
Antonio Alfredo Varrasso.