Emidio liturgico. Il nuovo studio di Valter Laudadio

Recensione di Antonio Alfredo Varrasso.

“… et nomen eius requiretur”.

Da tempo annunciato, già nelle premesse del suo primo analogo impegno, è stato editato il nuovo volume Officium sancti Emigdii. Le fonti liturgico-musicali. Bibliotheca capitularis 1.II. FAS. Comunicazione. Ascoli Piceno 2019, del Prof. Valter Laudadio, con uno specialistico contributo ‘gregoriano’ del Prof. Giacomo Baroffio. In ideale continuità con il volume precedente: Sancti Migdii Legenda. Contesto storico-testi (Bibliotheca capitularis 1.I. FAS. Comunicazione. Ascoli Piceno 2018) a prima vista si direbbe che il dossier emidiano, così costituitosi, possa trovare una sorta di soluzione di continuità, se posso dire, sul piano documentario e storiografico.

Il nostro Autore ci fa conoscere – direi anche, se non soprattutto in senso letterale e didascalico – due documenti liturgici ascolani: l’ Officium di Sant’Emidio, compreso in un antico Antifonario della Chiesa Cattedrale di Ascoli e reperito nel fondo dell’archivio capitolare, ove ancora si conserva, e il testo della lezione emidiana, di un Breviario, anch’esso appartenente alla Chiesa ascolana, oggi conservato nella Biblioteca Vaticana, cioè il Ms. Vat. Lat. 6255. Il primo è stato datato al secolo XIV, il secondo al secolo XV, peraltro già oggetto di pubblicazione nel XVI sec.

Da qui l’impostazione complessiva dello studio, ripartito in tre fondamentali parti sequenziali: la liturgia e le sue fonti; la specificità locale e, quindi, la intelligibilità del testo dell’Officium , ridatoci nella sua struttura musicale e letteraria attraverso il contributo del Prof. Baroffio. Un non scontato complemento di tutto questo è dato dall’Appendice, in cui, tra l’altro, si presentano alcuni Calendari del Piceno meridionale, utilissimi a dare contezza di un contesto santorale e devozionale molto denso, in cui venne a determinarsi il culto stesso verso Sant’Emidio. Sono 275 densissime pagine, tra le quali una eccellente riproduzione fotografica dell’Antifonario ascolano, ai ff. 138 – 148 verso dell’originale, ovvero il vero e proprio Officium Sancti Emigdii.

Aver riconsegnato criticamente al dibattito scientifico sulla storia del culto emidiano, infatti, i testi agiografici, integrati ora da quelli liturgici basso medievali, nel contesto di quella che lo stesso Laudadio definisce ‘emidiografia’, potrebbe apparire, per quanto provvisoria, la chiusura del cerchio sulla riflessione che ha, ricordiamolo, i suoi ineludibili avvii nella iniziativa storico-critica dei Bollandisti, nel 1735.

In realtà i materiali adesso vagliati dal Prof. Laudadio – che rappresentarono i punti di partenza della sua ricerca – costituiscono un importante recupero documentario, affatto scontato, sulla scia di una iniziativa culturale che in prima istanza ha richiesto la ridefinizione del problema storico del ruolo della figura di Emidio nella vicenda ascolana, attraverso una sostanziale sinossi di L1 e L2; tanto sul versante religioso-ecclesiastico, quanto su quello culturale e civile.

In questo senso l’aspetto più squisitamente liturgico della storia del culto emidiano, non solo per e Ascoli, trova nei documenti qui presentati e analizzati un provvisorio completamento dell’iter analitico e, al tempo stesso, l’avvio, l’inizio di una riflessione storiografica di ben più ampia portata.

Ora è chiaro, sempre più chiaro, ricordiamocelo, che la Storia si fa con i documenti ed attraverso i documenti! Soprattutto quelli scritti, anche se non solo di questo genere.

Gli studi di Valter Laudadio conferiscono un rilievo nuovo proprio alla documentazione, veramente unica e preziosa e, al contempo, pongono problemi avvincenti, per quanto avvertiti anche in passato: sul piano dell’analisi critica dei documenti stessi e, da questi, sul piano di una più attenta e sensibile storiografia.Solo per rimanere ad un aspetto della complessa realtà culturale evocata da questi documenti, mi sembra opportuno riflettere sulle immediate conseguenze.

Calare la problematica liturgica nella realtà storica di Ascoli non significa solo comprenderla da un punto di vista tecnico ( cosa del resto fondamentale dato il rilievo culturale e cultuale dell’operazione stessa), ma, e di più, ricostruire il rapporto storico fondamentale tra l’istituzione che la propone e la realizza con i suoi ricettori, in primo luogo cioè con la società locale, con le istituzioni laiche e civili del tempo. Le quali, a ben vedere, non assistono passivamente allo ‘spettacolo’ liturgico, ma, partecipandovi, intervenendovi, lo vivificano e se ne appropriano. E lo fanno a un punto tale, con un tale grado di consapevolezza culturale e quindi religiosa, da assumerne il messaggio celebrativo – evidentemente sagacemente ed opportunamente trasmesso – che diventa, rielaborato, un elemento portante del processo identitario e civile; un rilievo ideologico condizionante la stessa normativa costituzionale dell’organismo del governo pubblico, del Comune, come poi si ebbe negli Statuti del 1377. Al tempo stesso, in questo processo di scambio informativo, per cui l’una istituzione prende forza e profilo dall’altra e che sussiste nel travagliato procedere della formazione politica e sociale ascolana, tra i secoli XIII e XIV, emerge anche il profilo dell’altro soggetto storico fondamentale, che mi preme evidenziare in questo caso, vale a dire il Capitolo cattedrale.

(Riferimento obbligato alle vicende storiche del Capitolo cattedrale di Ascoli è ancora il ‘datato’ testo di Capponi, Cenni storici dell’origine, progresso e stato attuale del Capitolo della Cattedrale Basilica di Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1902. Si veda altresì la scheda di E. Tedeschi, L’Achivio del Capitolo, in La cattedrale di Ascoli Piceno, a cura di A.A. Amadio, L.Morganti, M.Picciolo. D’Auria Editrice, Ascoli Piceno 2008, che il larga parte dipende dal primo).

Tutto ciò conseguentemente dispiega nei suoi tratti fondamentali il problema dei rapporti tra vescovo diocesano e clero capitolare, che è, quest’ultimo, espressione più viva, anche culturalmente, della società cittadina, fondamentalmente perché a comporre il Collegio canonicale della Cattedrale concorrono eminentemente figure espresse dalla società locale e, particolarmente, dai ceti dirigenti ascolani.

Non solo, ma proprio attraverso il delinearsi del progetto liturgico emidiano, noi possiamo intravedere con maggiore consapevolezza storica la trama del progetto stesso di costruzione della Città basso medievale, attraverso proprio l’incontro – scontro dei suoi protagonisti ed il manifestarsi di una ben precisa comunità di interessi. In questa analisi, ripeto, è fondamentale intervenire a conoscere il paesaggio socio-culturale. L’interazione liturgia emidiana – partecipazione civile ci aiuta molto in questo fin dalle fasi formative del culto.

Non ci difetti, però, in questo, ciò che già, come autorevolmente avvertito, è stato un ripiegamento e una chiusura dell’analisi storiografica nei più ristretti spazi delle mura cittadine, o al massimo negli esigui orizzonti del territorio contermine.

( Si vedano, al riguardo, gli importanti lavori di Martina Cameli. In primo luogo S.Emidio tra storiografia e costruzione dell’identità cittadina, in ‘Studia Picena’, LXX, 2005, pp27-68 e l’ulteriore, corposo intervento in ‘Picenum Seraphicum’, XXV-CCVI, pp. 197-316: La Chiesa ascolana dall’erudizione alla storia locale. Rassegna bibliografica e bilancio storiografico).

Il quadro di riferimento va decisamente allargato alla considerazione del fatto che la costruzione della Città nei secoli XIII e XIV è profondamente condizionata non solo dalle sue stesse e antiche premesse, di cui Sant’Emidio è un fattore importante fin dal secolo XI, ma dal quadro politico, e non solo politico, di riferimento obbligato: la realtà regionale della Marca Anconetana e, nello specifico, le dinamiche intercittadine del Piceno; quella, poi, di un Papato, che oramai è decisamente proiettato alla costruzione della sua dimensione statuale nel cuore della Penisola italiana.

Dunque gli aspetti locali vanno contestualizzati alla realtà italiana e, direi, proprio per il caso di Emidio, agli spazi europei.

Se è vero, come è vero, che Ascoli proprio tra i secoli XIII e XIV, non diversamente dalle altre realtà cittadine della Marca e dell’Italia centro settentrionale, cercò una affermazione nel quadro della costituzione di un vasto territorio dipendente, ciò si determinò sulla base di una logica politica interstatale; nell’ambito di rapporti che, possiamo dirlo, si determinarono su scala italica, Meridione compreso, con tutte le inevitabili implicazioni del caso.

Potremmo e dovremmo, infine, considerare, in una tale prospettiva, come accennavo, anche una dimensione internazionale ed europea del problema storico ascolano, anche per il XIV secolo, laddove se è vero che è ormai un ricordo la più antica vocazione imperiale della Città; quella stessa che dette sostanza ed impulso creativo all’autorità vescovile tra XI e XII sec. e che stette alla base della costituzione di ciò che si chiamò, non senza qualche forzatura di tipo storico istituzionale, lo ‘Stato’ d’Ascoli, è altresì ancora concettualmente attuale, in pieno Trecento, la tematica imperiale, che viene sottilmente e, forse, capziosamente riproposta proprio nell’aggiornamento e ampliamento narrativo di L2 , vale a dire del testo agiografico emidiano più noto, redatto appunto nel XIV secolo. E, per inciso, questa stessa “rivisitazione” agiografica, sulla quale tornerò, appare in un certo senso la manifestazione culturale, prima ancora che agiografica, di una tensione viva della Città nel contesto locale e non; la più incisiva riproposizione, nelle intenzioni e nella pratica, di una richiesta di identità e di autonomia cittadine. Quel ricordo imperiale, che adesso viene a nutrirsi di riferimenti storici e geografici, come quello trevirense, nella stessa biografia emidiana, opera chiaramente all’interno dello stesso Officium emidiano ed è quindi esibito ed offerto alla considerazione pubblica ed istituzionale in forme, ripeto, latamente capziose, ma non meno rivelatrici della tensione che attraversa le élites cittadine.

Nell’ Officium inoltre, come ha mostrato Valter Laudadio, si ha il riscontro di una chiara influenza compositiva ‘tedesca’, giacché vi si prende per molti versi a modello quello di San Bonifacio ‘apostolo della Germania’ (680-754). Che se è, qui, assunto quale riferimento culturale in ambito liturgico, inevitabilmente rafforza nella cultura ecclesiastica locale, in primo luogo, e direi nella mentalità collettiva, il senso di quel legame transalpino di Ascoli con il mondo franco-germanico mai venuto meno anche nell’età moderna.

( Non sarebbe male, in questo senso, anche un confronto testuale con la vicenda di Bonifacio: Vitae Sancti Bonifatii archiepiscopi moguntini edita da Wilhelmus Levison. Scriptores Rerum germanicarum in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis separatim edidi. Hannoverae et Lipsiae, 1905 e, in primo luogo la Vita di Willibaldo).

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Mi è sembrato necessario e utile al tempo stesso, nel considerare il lavoro storico di Valter Laudadio, tornare brevemente sull’etimologia stessa del termine liturgia, che nell’accezione greca della parola è “luogo degli affari pubblici”, con una netta derivazione da ‘popolo’ (laos) e ‘opera’ (ergon). Ed anche considerando l’ulteriore significato attinente al culto pubblico, come comunemente si intende ‘il complesso delle cerimonie di un culto’, nello specifico cristiano mi sembra che la radice greca conservi, particolarmente nel nostro caso, un significato di fondo, che contraddistingue l’iniziativa liturgica emidiana d cui si discute.

(La bibliografia offerta a questo riguardo da Valter Laudadio è considerevole. Di par mio ho trovato estremamente stimolante, nelle ulteriori letture, un saggio di Paul De Clerk, Existe-t-il une loi de la liturgie?, apparso in ‘Revue Théologique de Louvain, 38e. année, fasc. 2, 2007, pp. 187-2003 e, per coglierne meglio gli esiti più recenti, giovandomi di un utile schematismo dell’Autore, Les riformes liturgiques carolingienne et grégorienne di Pablo Argarate dell’Università di Graz, che utilizza fondamentalmente bibliografia tedesca sull’argomento, in ‘Questions liturgiques, 93. 2012, pp. 157-170, reperibile in Internet)

“Ut nomen eius requiretur” , dicevo, anzi citavo all’inizio, traendo questa espressione molto significativa, perché rivelativa, proprio dal testo dell’ Officium , in quella parte che si recitava alla vigilia della sua festa, il 4 agosto.

L’espressione è a sua volta di tipo biblico ed è utilizzata, nell’economia del testo , in una sorta di chiave introduttiva e programmatica: “affinché il suo nome venga richiesto”, ovvero “se ne abbia la necessità, il bisogno”. Laudadio traduce più letteralmente: “e il suo nome verrà ricercato”, sottintendendo, evidentemente, il movente della necessità e, direi, della provvidenzialità, come poi il testo stesso si incarica di chiarire, esplicitanti i fatti che sono causa delle lodi a Emidio. Perciò essa denuncia una intenzionalità che non va mai sottovalutata.

Il culto emidiano proprio durante il Trecento in Ascoli si giova, come accennavo sopra, di affermazioni nuove e significative.

Oramai Egli è il patrono accettato e riconosciuto della Città.

Sottolinea positivamente ed ulteriormente questo dato fondamentale il fatto che il riconoscimento del culto verso Emidio avviene, oramai, anche fuori Ascoli.

Basti citare quello che ritengo essere l’esempio più gratificante in tal senso e cioè il caso molisano di Agnone, ove Emidio è venerato fin dai primi decenni del Trecento, attraverso il fondamentale apporto dei mercanti ascolani! Dunque, è la societas ascolana che si è mossa, sull’onda di inevitabili spinte di motivazioni identitarie e, perciò, di affermazione sociale ed economica.

( Anche il caso agnonese è tutto da investigare e studiare. Si veda al riguardo il contributo offertoci dal compianto Mons. Filippo La Gamba, già Parroco di Sant’Emidio in Agnone, Il culto di Sant’Emidio in Agnone, alle pp.203-233 di I terremoti e il culto di Sant’Emidio, a cura di Antonio Alfredo Varrasso, Vecchio Faggio Editore, Chieti 1989. Il culto agnonese è databile gà tra gli anni 1315-1326 così come evocano documenti scritti espliciti in tal senso)

Che vorremmo studiare meglio, considerando, altresì, che proprio questo intervento di Valter Laudadio, senza tema di ripetermi, sollecita un fondamentale approfondimento di tipo comparativo.

Il processo di identificazione di Emidio con Ascoli e la sua complessa realtà culturale e sociale, come si vede, è già pervenuto ad esiti significativi e ad un consolidamento che avrà, proprio durante il secolo, ulteriori eclatanti manifestazioni.

La liturgia, allora, trova nella Città e nella sua forma urbana, che possiamo considerare il vero e più autentico scenario di essa, con al centro, inevitabilmente, la Cattedrale, motivi di realizzazione straordinari. Basti pensare soltanto al rapporto tra architettura religiosa e liturgia e, quindi, di questa con il paesaggio urbano.

In questo contesto, infatti, matura ed avviene la riscrizione della Legenda secunda (L2), come si diceva, che diventa, starei per dire, il testo ‘canonico’ della vita ed opere di Emidio e che chiaramente emargina il testo più antico di L1; una narrazione, pertanto, che ridisegna il volto stesso della urbs picena proprio in funzione delle tappe e dei gesti, reali e supposti, che Emidio vi ha vissuto.

La Città, così rivisitata, è il luogo stesso dove il Santo Vescovo ha evangelizzato, battezzato, predicato e dove ha subito, finalmente, il martirio; dove, straordinariamente, Egli, decapitato, cerca e trova la sua sepoltura. Esiste perfino il luogo dove, novello Mosé, Emidio fece sgorgare l’acqua, con la quale ha battezzatogli Ascolani! Questi passaggi, mi pare di poter dire, costituiscono approfondimenti e qualificazioni, se vogliamo, del paesaggio urbano, chiaramente dipendenti da L2 e in parte significativa recepiti dall’ Officium.

L’immagine, ma direi il senso stesso del luogo abitato – (non sarà un caso che proprio a fine Trecento, nel 1381, si perverrà alla compilazione di un nuovo Catasto della Città) – viene così integrata con la narrazione emidiana. Il rilievo censuario, cioè, illumina anche il processo di innovazione toponomastica, che evidentemente viene approfondito.

Non solo! Il momento di questa ‘reinvenzione del passato’, precisamente finalizzata all’incremento del culto, lo vedremo meglio, favorisce anche nuove coniazioni agiografiche, come, a mio avviso proprio del Trecento, suggerisce il caso di Cristanziano, a cui si affianca quello di Benedetto.

Si caratterizza in tal senso il paesaggio urbano e, dunque, si srticola ulteriormente il panorama agiografico cittadino! I ‘compagni’ di Sant’Emidio da tre diventano cinque!

Ora, come ha opportunamente indicato Valter Laudadio nell’analisi del testo dell’Officium , tradito dall’Antifonario ascolano, è proprio da L2  che muove la stesura narrativa del canto liturgico emidiano.

Le due operazioni, pertanto, cioè quella agiografico-narrativa e quella liturgico-celebrativa sono facce di una stessa medaglia; espressioni vive e reali di un medesimo cimento culturale e cultuale.

Torniamo, a questo proposito, per un attimo, a considerare il lato più tecnico della vicenda. A sapere, cioè, cosa è un Antifonario e cosa è un Breviario , o, in termini diversi, a domandarci perché questi ‘attrezzi’ della liturgia latina, antichi di secoli, vengono nel secolo XIV a contemperare e proporre la preghiera emidiana e, quindi, l’ ‘opera’ del ‘popolo’, la liturgia in suo onore in Ascoli.

L’Antifonario, seguendo le medesime definizioni di Laudadio, non è una semplice raccolta di ‘antifone’, ma un libro destinato alla liturgia corale, “che contiene i canti per l’officium chori”. Esso ha una lunghissima storia e il suo nome compare già alla fine del secolo VIII. Il diritto canonico del secolo XII lo colloca tra i libri necessari al ministero pastorale e i canti scelti per le feste dei santi sono in parte mescolati a quelli delle feste di Cristo, che appartengono al cosiddetto ‘temporale’.

Quello studiato da Valter Laudadio è un antifonario ‘secolare’, dunque non monastico, cioè prodotto ed utilizzato dal clero secolare e conservato dai Canonici della cattedrale di Ascoli. E a dire che in Ascoli la presenza monastica non era trascurabile, perciò non si può pensare che la cultura agiografica e liturgica monastica locale non v’abbia interagito.

Benanche il Breviario è un libro. Il termine significa ‘compendio’. Esso contiene l’intero ufficio divino secondo il rito romano, per la lode e la preghiera orale a Dio in determinate ore del giorno e della notte.

 

Ma oltre al ‘temporale’ il Breviario contempera l’ufficio dei santi. Quello ascolano, per quanto datato al secolo XV, che è l’esemplare superstite della Vaticana, recepisce la lectio emidiana verosimilmente già da prima ed è anch’esso destinato ai chierici.

Erano questi, peraltro, “attrezzi”, mi si passi il temine ancora una volta, molto costosi, sicché l’operazione Antifonario in Ascoli dovette essere ben meditata, oltre che vivamente sostenuta anche da laici benestanti, mentre non tutti i preti potevano possedere un Breviario, anch’esso costoso, per quanto pochissimo sappiamo della costituzione del clero ascolano del Trecento. Altra ‘frontiera’, questa, da dover superare!

In ogni caso, la presenza dell’Officium emidiano in questi veri e propri capisaldi liturgici, e aggiungerei divulgativi, è una risultante, non già una causa, dell’affermazione del culto emidiano a tutti i livelli; una affermazione, però, necessariamente elitaria, ancora una volta, vale a dire precipua, in termini culturali, dei ceti dirigenti cittadini, laici ed ecclesiastici. Al tempo stesso m’appare anche una risposta a considerare, cioè, esigenze rappresentative del ‘corpo ecclesiastico locale’ sentite profondamente e mutuate nel diuturno confronto pubblico.

Non si può, allora, sfuggire, a questo punto, ad una domanda di fondo.

Se siamo, come effettivamente appare, di fronte ad un sentito e magnificente rilancio, anche su quello che è il versante tecnico e canonico giuridico, del culto emidiano nell’Ascoli trecentesca, che è tesi importante di Valter Laudadio, che senso acquista, nel concreto della vita cittadina, una tale operazione culturale e liturgica?

Chi sono i soggetti storici che se ne fanno i promotori e qual’è, effettivamente, il clima sociale e culturale in cui si determina questa iniziativa? Non è né semplice, né facile rispondere adeguatamente a queste domande. Dobbiamo, ancora, tornare a riflettere sullo stato degli studi storici e delle ricerche su e per Ascoli fin qui realizzati e maggiormente sulle Istituzioni locali ed il loro personale in età medievale.

Fatti salvi i più che pregevoli ed originali contributi di Martina Cameli, infatti, che ricordavo, a cui non si cesserà di rendere merito, per l’età centrale del medioevo ascolano, il panorama della storia istituzionale ecclesiastica e religiosa di Ascoli resta ancora un grande campo da arare!

Mi sembra utile, però, per quanto detto, in questo specifico caso, sollevare, semplicemente sollevare, il problema di una di queste Istituzioni fondamentali per la vita cittadina, non solo ecclesiastica e cioè il Capitolo cattedrale, perché è qui, a mio avviso, che si attua il progetto revisionista di L1 e, quindi, della solenne attuazione liturgica.

Come è stato autorevolmente rilevato da tempo, nel secolo XIII è in atto una crisi reale delle istituzioni ecclesiastiche, che sfocerà in una profonda modificazione dell’istituzione. Il Prof. C.D. Fonseca ha parlato di vera e propria diarchia tra Capitoli e Vescovi nel secolo XIV.

I legami tra vescovo e Capitolo vengono ad allentarsi sempre più ‘ sino a riproporre una sempre più accentuata divaricazione tra corpo canonicale e autorità vescovile all’interno delle Chiese locali ‘. Sono noti i punti di fondo che sostanziano questa divaricazione. In primo luogo concretizzazione di ‘interessi’ diversi tra Capitolo e Vescovo, interessi patrimoniali e pastorali; l’elezione del Vescovo, che non è più competenza del Capitolo; la cura delle anime, che non fa più capo alla Chiesa Matrix, cioè alla Cattedrale e ‘alla sua primigenia funzione battesimale’. Da qui la nascita delle Parrocchie cittadine anche in Ascoli; gli affari patrimoniali e l’autonomia economica del Capitolo, ‘specialmente in connessione con il sistema beneficiale e la mensa vescovile’.

Infine l’autonomia statutaria, perché si riconosce al Capitolo una sua capacità giuridica di avere statuti, nonché, ecco il punto, proprio come forma reale di tale autonomia, di ordinare lo svolgimento delle celebrazioni liturgiche. Il che significa, poi, concretamente, anche di determinarne l’indirizzo.

Sicché in queste materie i rapporti tra Vescovo e Capitolo si storicizzano in maniera più complessa e significativa.

In sintesi, sino al 1317 il Capitolo ascolano ebbe competenza nella elezione vescovile. Dopo tale data mai più. Tra il 1367 e il 1386, come nella documentazione evidenziata dal Capponi, i vescovi promossero la separazione della vita comunitaria dei Canonici e stabilirono che ognuno di essi amministrasse personalmente la propria particolare prebenda canonicale. Si verificò, infine, che i Canonici costituissero altrove, presso abitazioni private, la loro dimora.

(Riprendo oltre la bibliografia relativa ai fondamentali lavori di C.D.Fonseca. Che in premessa a La Cattedrale e il suo Capitolo. Analisi comparata in prospettiva storica, ecclesiologica e canonistica, da me reperito in Internet, afferma: “L’autonomia delle esperienze canonicali legate alle Chiese cattedrali era quella che contava una più accreditata tradizione collegata come erra era ad alcuni elementi caratterizzanti della stessa condizione canonicale: innanzitutto l’officiatura liturgica essenziale ad assicurare die noctuque gratias Deo referre; inoltre la collegialità che postulava precise forme comunitarie, si trattasse del dormitorio e della mensa comune secondo moduli organizzativi diversificati o si trattasse addirittura della comunione dei beni; infine il legame con il Vescovo che della Chiesa cattedrale era naturale e originario custos et rector”. Naturalmente qui è la impostazione del problema storico del Capitolo, che ebbe, come detto, una evoluzione radicale proprio tra i secoli XIII-XIV).

Tra i tanti meriti fin qui acquisiti da Valter Laudadio in ragione dei suoi studi emidiani, mi sembra doveroso dargli atto di essere tornato a sottolineare, sia pure indirettamente, proprio attraverso la ‘scoperta’ e lo studio dell’Antifonario ascolano, come dicevo all’inizio, il problema della vita e della storia di questo fondamentale organismo della vita religiosa ascolana e dell’intera diocesi.

Ad esso,al Capitolo, infatti, mi sembra più corretto, dato il suo carattere schiettamente cittadino, come dicevo, dover riconnettere, più che alla figura vescovile, diversamente da quanto avvenne nel lontano secolo XI, l’iniziativa liturgica emidiana e, più complessivamente, l’approfondimento agiografico fondamentale di L2, che caratterizza il Trecento ascolano. Piuttosto, direi, che, adesso, come vedremo proprio nel caso di Benedetto, il vescovo si presta egregiamente ad una iniziativa cultuale innovativa di schietto sapore cittadino.

Basta dare un’occhiata, però, alla vigente cronotassi vescovile di Ascoli del periodo 1285 – 1399, per rilevare che su 16 vescovi ben 9 furono traslati in altra sede. Il Capitolo cattedrale, pertanto, per quanto esautorato dalla fondamentale riforma papale, nel secolo XIV, che lo privò del diritto di nomina del vescovo, durante tutto il Trecento dovette trovarsi nelle oggettive condizioni operative, non dico di mera supplenza, ma sicuramente di una più esposta rappresentanza della Chiesa ascolana nel contesto diocesano e di un più accentuato radicamento dei suoi componenti nella società cittadina.

Non senza tornare a rilevare, come ha scritto la citata Martina Cameli , il cui studio fondamentale si arresta al XIII secolo e cioé che, nella vicenda della storia istituzionale ecclesiastica ascolana, “ anche il Capitolo cattedrale risulta finora completamente privo di studi”.

( In volubili Marchia. Ascoli e la sua Chiesa, tra Papato e Impero (secoli XI-XIII. Istituto Superiori di Studi Medievali Cecco d’Ascoli. Ascoli Piceno, 2012)

Sicché non godiamo di alcuna introduzione prosopografica all’argomento e non è pensabile che una innovazione così rilevante in ambito cultuale emidiano, tanto sul piano agiografico e narrativo, che su quello liturgico, si sia potuta concretizzare ai margini della operante presenza dei Canonici della Cattedrale e, quindi, che la realizzazione dell’Officium non abbia in primo luogo dovuto interessare proprio coloro che erano chiamati per statuto a recitarlo in forme così solenni del Coro.

Valter Laudadio, per quanto indefessamente cercata, non ha potuto giovarsi fin qui di una documentazione consimile anteriore al secolo XIV e nemmeno i Bollandisti, nel Settecento riuscirono a fare meglio di Lui!, allorché, in quest’ultimo caso, si potrebbe congetturare che l’ingiuria del tempo e degli uomini non avesse ancora inferto, in pieno secolo XVIII, perdite documentarie irrimediabili. Ma è del tutto ragionevole pensare che la Canonica cattedrale di Ascoli godesse già anteriormente, foss’anche solo sulla base di L1, di una liturgia corale   emidiana.

Tuttavia, come si è notato, l’episodio trecentesco ha indubbiamente una sua specificità, che va ulteriormente rilevata, in quanto sono creazioni di questo secolo tanto la redazione   della Lezione agiografica L2 , quanto la confezione dell’Antifonario, in cui l’Officium di Sant’Emidio da quella dipende direttamente. Benanche il testo del Breviario, per la sua chiara dipendenza da L2, potrebbe costituire una ulteriore e coeva manifestazione consimile.

Ma v’è qualcosa di più che mi sostiene in questa che appare una suggestione, e probabilmente lo è!, ma che mi sforzo di strutturare al livello di tesi.

Mi riferisco alle comparse, a mio avviso anch’esse trecentesche, delle figure di Cristanziano e quindi di Benedetto nell’universo agiografico ascolano; figure che derivano, oserei dire direttamente, dal tentativo, poi realizzato nella forma che conosciamo di L2, di riscrivere con maggiori e più ‘aggiornati’ dettagli in pieno Trecento l’epos di Emidio del IV secolo e che certamente coinvolge direttamente il Capitolo cattedrale di Ascoli.

Al seguito di Emidio, pertanto, la ‘tradizione’ agiografica ascolana, insieme a Euplo, Germano e Valentino, pone altri personaggi. In primo luogo il ‘romano’ Benedetto, indi l’ascolano Cristanziano. Non si vuole qui stabilire una cronologia compositiva relativa alle due personalità, piuttosto esse si concepiscono in rapporto alla cronologia degli eventi emidiani, fissata in L2.

***

Questa novella figura di Cristanziano, dai profili schiettamente cittadini, è ispirata, o, se vogliamo, derivata chiaramente, dal contatto di Emidio con la gente di Ascoli e, nello specifico, con la sua sezione nobiliare ed aristocratica! M’occorre, però, a questo punto, un pur sintetico excursus sulla vicenda ascolana del Trecento, traendo insegnamento dal pur datato e ancora molto utile lavoro in due volumi di Antonio De Santis e, particolarmente, dalla documentazione che questo egregio Autore ha evidenziato. ( Ascoli nel Trecento, I, 1300-1350, Bruno Chigi Editore, Roma 1984; Ascoli nel Trecento, II, 1350-1400, Ascoli Piceno 1988).

Il secolo XIV è molto contrastato da eventi seriamente funesti e da altri che, al contrario, descrivono Ascoli come una città oramai padrona di se e del suo avvenire. A metà secolo 23 castelli e 13 ville costituiscono l’appannaggio ‘feudale’ del Comune . Di per se Ascoli si propone come un laboratorio in cui interagiscono lotte politiche e faziose, calamità naturali come la peste, rinnovate rivalità intercittadine, specialmente con Fermo, la conquista di un approdo marittimo ed una crescita economica ragguardevole. A tale crescita è da affidare l’esternalizzazione dei valori agiografici emidiani.

Ma poi due realizzazioni sono la spia di una città pur sempre in crescita. Gli Statuti del 1377, cioè una data stabilizzazione del governo civile locale, e il Catasto , ovvero la più che necessaria definizione del panorama urbano, che già notammo, del 1381; sono documenti che attestano una vitalità istituzionale e, di riflesso, economica e sociale che non ci aspetteremmo dato il contesto agitato della Marca Anconetana e gli equilibri di potere sempre precari nel governo cittadino.

Da un punto di vista demografico all’inizio del secolo Ascoli può ben dirsi una ‘grande’ città! E tutto ciò che fin qui sappiamo di essa ce la presenta tale nel contesto cittadino marchigiano.

Gli studiosi al riguardano parlano di 25-30 mila abitanti ( Giuliano Pinto, Ascoli Piceno. Fondazione Centro Italiano di Studi sull’altomedioevo. Spoleto, 2013.con relativa, vasta e ragionata bibliografia) con un netto calo, però, a fine secolo.

Ma la dimensione di partenza ad inizio secolo dovette profondamente condizionare tutto il secolo, nonostante le perdite. Anzi, queste ultime, come in ogni processo di crescita, sono quelle che meglio documentano il processo di sviluppo vitale della Città.

Non da meno sul fronte religioso ed ecclesiastico-istituzionale, come ho accennato sopra, in Ascoli vive e ferve un dibattito religioso intenso, che proprio sul piano spirituale e materiale determina in città e contado esperienze di conclamata eresia; il che è pur sempre spia di una accentuata conflittualità sociale, con gli inevitabili contraccolpi sul piano di una dura repressione, voluta dai papi avignonesi e sostenuta dal potere vescovile, unitamente ad una particolare mobilità dell’Ordinario, che inevitabilmente dovette condizionare, in ogni caso, non solo gli assetti dei vertici ecclesiastici, ma particolarmente quelli della cura d’anime, in città e diocesi e dei rapporti tra clero regolare e secolare.

Ma il Trecento è anche la tappa di una accresciuta importanza commerciale di Ascoli, come dicevo, che a partire dall’evento del 1326, cioè l’accordo in materia con Venezia, rivela un notevole protagonismo degli Ascolani in ambito adriatico, con una costante incentivazione delle esportazioni di manufatti, soprattutto tessili.

Un riflesso significativo della collaborazione con Venezia in ambito commerciale ci è dato dal ricordato caso di Agnone, in Molise, che non è l’unico. Si pensi anche alla presenza ascolana nelle Puglie.

Qui l’intensità dei rapporti condizionò fin dai primi decenni del Trecento la vita locale, rivelato nell’aspetto religioso e devozionale.

Si è detto del culto di Sant’Emidio nella città molisana quale portato diretto dell’influenza degli Ascolani. Ai Veneziani toccò il prestigio di veder intitolata a San Marco la Chiesa Matrice di Agnone, che adottò, altresì, proprio San Cristanziano a patrono cittadino!

(La società locale agnonese, e non poteva essere diversamente, ha nel tempo rielaborato, attraverso un rapporto più intenso, la figura del Patrono, senza ignorarne le origini. Diverse chiese della Diocesi Triventina lo venerano come patrono contro la grandine e le tempeste. L’immagine del santo è onnipresente nella stagione dei raccolti, perché solennemente esposta in Chiesa, nella Matrice di San Marco. Ma, come dicevo, la sua provenienza ascolana resta ben fissa nello stesso immaginario collettivo e, perciò, si afferma, sulla scorta di un espresso intervento dell’arciprete di Maltignano – purtroppo non datato, ma sicuramente di età moderna – che “ il suo culto ad Agnone, insieme a Sant’Emidio, fu portato da mercanti ascolani, che avevano i propri punti di vendita in quella città, da dove portavano qui il vostro rame” . Emidio, dunque, reca con se ad Agnone il suo ‘compagno’ Cristanziano! E qui coabitano in una iniziativa di collaborazione intercessoria splendidamente rivelata anche dai documenti dei primi decenni del Trecento, come notai sopra)

Un notevole contributo dettero poi gli Ascolani all’impianto delle cartiere in Sulmona, laddove i Sulmonesi, già esuli nell’Ascolano nella seconda metà del Duecento, a seguito delle repressioni angioine a danno dei seguaci locali degli Svevi, avevano fatto esperienza ultraventicinquennale di un contatto diretto con Ascoli e contado, lasciandovi poi tracce significative della loro presenza attraverso testimonianze preziose dell’arte orafa.

Insomma, i mercanti e artigiani ascolani potevano ben dirsi conosciuti, per non dire famosi, in gran parte della Penisola.

( Affrontai l’argomento ‘sulmonese’ in un colloquio tenutosi presso la sede dell’Associazione Sant’Emidio nel Mondo, in Sant’Emidio alle Grotte, lo scorso 1 agosto 2019. Un più diretto contatto Sulmonesi e Ascolani risale al periodo 1268-1294. Nel Catasto sulmonese del 1376 compaiono diversi Ascolani residenti, mentre tra il 1321-1338 sono attestati a Sulmona i ‘cartari’ ascolani ben in anticipo sulla stessa documentazione ascolana fin qui reperita al riguardo).

Se, dunque, la ‘diaspora’ commerciale ascolana, come è riscontrabile in questo ed altri casi, proiettava all’esterno della città i segni più tangibili della devozione identitaria a Sant’Emidio, dando luogo a fenomeni di emulazione significativi, al tempo stesso essa informava tutto il processo devozionale cittadino, lo sosteneva e lo tutelava.

E bisognerà, a questo riguardo, studiando le rispettive esperienze, in modo comparativo finalmente, valutare l’apporto, in sede locale e cittadina, di un tale scambio informativo.

Il caso di Cristanziano mi appare indicativo anche in questo, laddove, evidentemente, si trattava, attraverso la sua figura, di sostenere il progetto agiografico emidiano, anzi di approfondirlo.

Inoltre il culto cittadino verso Emidio, a cui gli eventi, complessi e contraddittori trecenteschi fanno da scenario, continua a trovare una sanzione unificatrice ed unificante attraverso i più volte citati Statuti ascolani del 1377. Ed è, poi, questo, anche il caso di Benedetto martire.

Il culto, oramai sentito quale potente fattore identitario, lo ripeto, svolgeva naturalmente una funzione unificante della complessa realtà sociale della città, caratterizzata anche da una non trascurabile presenza di immigrati, anche esteri.

La ‘liturgia’, come efficacemente scrive Valter Laudadio è essa stessa un simbolo! Il rito è esso stesso un luogo che unifica il Popolo di Dio! Aggiungo che il ‘rito’ è la fase fondamentale del processo culturale di unificazione e di lettura unitaria delle diversità.

 

E vi è un altro aspetto non meno importante: Emidio venne assurto, o continuò ad esserlo con forza, è proprio il caso di dirlo, nella normativa statutaria, non solo nel riconoscimento del suo ‘patronato civico’, ma a termine discriminante la soggezione ‘feudale’ dei castelli dipendenti da Ascoli, obbligati a prestargli omaggio, attraverso le magistrature comunali.  Anche questa è liturgia, liturgia civile che si nutre del sacro!

Senza, poi, trascurare, è il caso di citarlo sia pure fugacemente, il fenomeno dei giochi cittadini, che caratterizzava, in maniera veramente collettiva, il ricordo, commemorativo e festoso, del Patrono e che nel tempo assurse, anch’esso, un livello di inseparabile momento di celebrazione unitaria , oserei dire di auto rappresentazione sociale in nome di Emidio! Lo è ancora oggi!

***

Scrive il Ciannavei: “In occasione di S. Cristanziano sìami permesso aggiungere, come per antica tradizione abbiamo, essere stato questo uno della celebre Famiglia Bassi (già rimpatriata in Ascoli dopo la devastazione , e Schiavitù di Vendidio accaduta sotto Pompeo Strabone nell’anno 661 di Roma, la quale fu una delle prime ad abbracciare la fede Cristiana) che primo fra i suoi Concittadini si consecrò al Ministero di Cristo, e fu ordinato Diacono dal S. Vescovo (Emidio n.d.s.) che però può credersi essere stato chiamato Cristanziano, quasi Anziano o primo dei Ministri di Cristo: l’edacità del tempo, le persecuzioni de’Gentili, e la somma negligenza de’ nostri antichi ci hanno involte fra le tenebre le genuine notizie di questo Santo. Il nostro Abbate (Marcucci n.d.s.) appoggiato ad antichissimi manoscritti riferisce il di lui Martirio accaduto il 13 Maggio nel 310 nella contrada di Ancaria, oggi le Chiaviche risentendosene poi il Cielo con fulmini, e grandine: perloché fu dagl’Ascolani eletto per Protettore contro le tempeste. Ignorasi il di lui Sepolcro, ma dura ancora il culto vetustissimo a noi tramandato per legge municipale, e perciò il nostro Magistrato col Capitolo, e Clero della Cattedrale si porta ogn’anno nel suddetto giorno a venerarlo, ed offerirgli un dono in questa Chiesa. Si venera tal Santo con gran culto anche nella Terra di malignano, nel Castello di Polesio, in Agnone Terra della provincia di Chieti, ed altrove”.

( Giuseppe Ignazio Ciannavei, Compendio di Memorie Istoriche spettanti alle Chiese Parrocchiali della Città di Ascoli nel Piceno e ad altre tanto esistenti che dirute nel circuito di essa e ne’ sobborghi. Ristampa con note e indici di Giannino Gagliardi. Giannino e Giuseppe Gagliadi Editori, Ascoli Piceno 1995).

Avrò modo di riprendere in altra sede, nella sua complessità, questa pagina del Ciannavei, che in gran parte dipende da Francesco Antonio Marcucci (Saggio delle cose ascolane e de’ vescovi di Ascoli nel Piceno, Teramo 1766).

In effetti il Marcucci, a sua volta, dipende dal noto e ‘misterioso’ – mi si passi l’aggettivo – Lino Diacono dei della Rocca , che aveva servito “da Amanuense il Vescovo Trasmondo, della cui Storia fece il Compendio, chiudendolo col Vescovo Rinaldo I nell’anno 1190”.

Senza entrare, per ora, nel merito delle affermazioni di questi Autori settecenteschi circa le fonti da loro utilizzate a proposito di Cristanziano, questione rilevante e che non ha trovato fin qui soluzioni efficaci, ciò che ci interessa sottolineare è il fatto che a questa figura si attribuisce una genealogia più che illustre e che il suo culto, come si vede, è ben attestato ancora in età moderna.

Il santo, pertanto, è espressione, indiscutibilmente, di una delle Famiglie più in vista di Ascoli del IV secolo! La sua figura è reperita in una ben determinata area sociale: la nobiltà!

Ma quando sorge questa tradizione? Ovvero, è il Marcucci a reperirla da ‘antichissime scritture’ del secolo XII, oppure si tratta di un ‘racconto’ , o di una ‘riscoperta’, diciamo pure di una ‘rimodulazione’ più recente? Magari del secolo XIV? Siamo ai primi tentativi di ricerca in tal senso, ma gli indizi non sono pochi che mi fanno propendere per il XIV secolo.

Intanto Cristanziano è discepolo di Emidio e, poi, da questi è fatto Diacono. Anche questo particolare non è trascurabile nell’ambientazione del IV secolo.

Lo vede così, infatti, come è noto, in abiti levitici, Cola dell’Amatrice (1480/1489-1547/1559) nella celebre tavola di San Vittore di Ascoli, che è del 1514.

Segno tangibile, questo, della persistenza di un attributo significativo, che esplica un ruolo.

 

I Bollandisti, di par loro, recepirono la nozione di San Cristanziano, già nel 1680 ( Acta Sanctorum maii . III.) : “In ea urbe (Ascoli n.d.s.) colitur Xiii Maij S. Christantianus Martyr: quo die habetur processio per Capitulum et Magistratum ab Ecclesia Cathedrali ad Parochialem S. Victoris: ubi in altari majori dictae Ecclesiae imago hujus Martyris, in habitu Levitico expressa, cum martyrio ab eo passo sub lapidum grandine”.

La nozione incerta del martirio è qui palmare. Si direbbe colpito dalla grandine, ovvero esposto ai colpi di grandine e non già nell’accezione del Ciannavei e del Marcucci, ove la grandine è il ‘lamento’ del Cielo per la sua morte e, quindi, potente indizio della santità martiriale.

Esisterebbe, poi, un’altra variante interpretativa, giocata sulla simbologia stessa della ‘tempesta di grandine’, chiaramente evocatrice dello spirito di discordia regnante in Città e che, appunto Cristanziano venne a risolvere con la pacificazione!

Il tal senso avrebbe rappresentato il ruolo del diacono martire lo stesso Cola dell’Amatrice nella Tavola di San Vittore ai primi del Cinquecento. Questa stratigrafia del ricordo, veicolata da un messaggio iconografico, in ogni caso, farebbe di Cristaziano il veicolo interpretativo di una tensione intercittadina tra la componente nobiliare ed aristocratica, dunque del governo cittadino.

Si attesta, però, tornando ai Bollandisti, un interesse precipuo del Capitolo dei Canonici nel culto a Cristanziano , riferendo, altresì l’antica tradizione per la quale il suo corpo riposava nella Cattedrale, pur se si ignorava il luogo precipuo: “ex incuria eorumdem Majorum”.

Questo santo, pertanto, per essere invocato contro la grandine è venerato non solo in città e diocesi, ma anche nei paesi vicini: “atque peculiaris Paronus et Advocatus castri Moldignani”, perciò Patrono di Maltignano, del cui castello oggi, cioè nel secolo XVI, come nel tempo passato, il Capitolo Cattedrale della Chiesa Ascolana ha l’imperium, cioè, il possesso feudale, derivato da una donazione di Carlo Magno!

Si recitava un tempo – continuano i Bollandisti – il di lui Officium in rito doppio, che successivamente è stato abolito dalla Sacra Congregazione dei Riti. E questa mi appare una informazione rilevante, che va verificata.

Nel precisare, infine, che non esistono Atti scritti su Cristanziano, i Bollandisti indicano la di lui citazione presso il Ferrario (Catalogus Sanctorum Italiae in menses duodecim distributus, Mediolani 1613, 276-277) e ricordano, così, che il santo è venerato anche in diocesi di Lodi, dove pure è invocato contro le tempeste. Naturalmente i Bollandisti dovettero attingere tali notizie da corrispondenti ascolani e non si soffermano ad analizzare quella che poi si chiarirà essere una falsa donazione imperiale, per restare ad un solo aspetto della vicenda.

Il caso di Cristanziano, del resto, negli Acta Sanctorum non è esposto facendo precedere un Commentarius praevius, dedicato appunto ad una critica riflessione sulla documentazione.

Si occupò brevemente di Cristanziano anche Giuseppe Fabiani (Bibliotheca Sanctorum – sub voce . Roma 1964, 322-323) , il cui parere è giusto tenere presente. Fabiani afferma, intanto, che questo nome in taluni manoscritti risulta di genere femminile, in ciò indicando il Commentario al Martirologio Gerominiano ed il Commentario del Martirologio Romano.

Senza, però, voler giudicare le intenzioni di chi a quei Martirologi si rivolse nel tentativo di trovarci Cristanziano, martire del IV secolo, mi sembra che il ricorso stesso al Gerominiano e al Romano dia il senso più attuale di una ricerca che nel suo effettuarsi fu più che difficoltosa.

Il che non c’aiuta per una più precisa datazione delle fonti, che evidentemente non sono i detti Martirologi, ma commenti successivi. Aggiunge poi, significativamente, che Cristanziano ‘entra nella leggenda di Sant’Emidio’ e questo mi sembra un passo corretto ed impegnativo.

Indica poi altri luoghi in cui si svolgerebbe il suo culto. Ma in sostanza per il Fabiani Cristanziano è il risultato di una difettosa lettura dell’abbreviazione CRIS, in luogo di Crisogonus. “Gli agiografi – continua Fabiani – impadronitisi del nome che non indicava nessuno, designarono con esso un confessore o un martire, cui diedero, o tolsero compagni, ne variarono il giorno della festa e, perfino, il sesso”.

“ E’ invocato contro la tempesta e il suo culto fu, come sembra, confermato il 3 settembre 1803 da Pio VII”. , conclude lo Storico ascolano.

Occorreranno doverose verifiche di questa affermazione. In ogni caso sappiamo che di ciò si occupò il Cardinale Archetti, Vescovo di Ascoli dal 1795-1805.

Poco male! A noi, però, come dicevo, interessa sapere quando sorse la ‘leggenda’ e perché, vale a dire a quale più profonda motivazione corrispose la vera e propria ‘coniazione’ di questa figura nell’ambiente ascolano.

Volgiamoci, allora, ad analizzare, per quanto possibile, il caso di Maltignano, ove Cristanziano è ancora oggi il Patrono, non senza rilevare che tanto in Agnone, quanto nella diocesi di Lodi, Lui è venerato come vescovo martire.

Come diacono e martire, però, lo ritroviamo, per esempio, a San Martino sulla Marrucina, in provincia di Chieti e ciò spiegherebbe meglio particolari legami della feudalità laica teatina con quella di Ascoli.

Interessanti materiali che, credo, fanno al nostro caso, ci vengono offerti da Giuseppe Colucci (1752-1809) nelle sue Antichità Picene , laddove al vol.XXI, in cui inizia a trattare dei Luoghi della Stato di Ascoli, tra le altre raccoglie una relazione “storica” (metto volutamente le virgolette) su Maltignano .

(Dissertazione istorica sopra l’origine, governo e stato della terra di Maltignano baronia del Capitolo della Cattedrale di Ascoli. La ‘Dissertazione’ non è firmata, ma devesi trattare di un canonico ascolano del tempo, per chiare ammissioni lungo il testo).

In gran parte questo testo dipende, per nozioni più generali di storia ascolana, dall’opera del citato Marcucci (1717-1798), anche se l’Autore non manca di sottolineare alcune differenze, citando uno scritto su Maltignano del Marcucci stesso, datato al 1759.

In ogni caso la tesi di fondo è che Maltignano derivi la sua fondazione da Publio Maltino Basso, attorno al 54 a. C.

Al di là della disquisizione sull’eredità romana di tutta l’area, il che è un dato rilevante, questa mi sembra una nozione ripresa da una più antica tradizione. E’ la nobile famiglia dei Basso che determina la fondazione di Maltignano attraverso l’iniziativa di Maltino!

Come si vede, Cristanziano, di cui il Ciannavei, sulla scorta del Marcucci, c’ha ricordato le consimili origini familiari nei Basso, trova qui una ulteriore specificazione non solo genealogica, ma direi storica, nel senso che l’adozione cultuale corrisponde ad un dato culturale abbastanza chiaro.

Si stabilisce, mi sembra di capire, che con San Cristanziano si determini una ideale continuità ‘possessoria’ e quindi storica, dei Basso, indi degli Ascolani su Maltignano.

Certo, ignoriamo del tutto il processo di affermazione del santo quale ‘Patronus loci’, ma mi sembra questo dato ‘genealogico’ un ottimo dato di partenza.

In questa pur stringata trattazione, edita dal Colucci, il Santo Patrono è citato solo una volta e, forse erroneamente, giacché il giorno della sua festa è assegnato al 13 giugno, anziché maggio, allorché veniva a tenersi una importante Fiera. Ed a vedere bene, invece, il Popolo di Maltignano accorreva totalmente all’altra, fondamentale festa, quella di Maria SS. della Benedizione, che si celebrava quattro giorni dopo la Pasqua.

La dicotomia devozionale, però, come in questo caso, è altresì sintomatica, perché può recare in se, meglio che altrove, il reale valore elitario e di parte rappresentato dalla scelta del Patrono cittadino, di Cristanziano, che ha tutte le qualità, a questo punto, di rappresentanza del Capitolo cattedrale ascolano!

Che nella storia di Maltignano entra in scena attraverso una rivendicazione polemica, come si accennava, nella evocazione cioè dell’autorità imperiale, della persona di Carlo Magno, che, ‘innanzi alla Tomba di Sant’Emidio’, in Ascoli, avrebbe rilasciato uno speciale diploma di concessione di Maltignano al Capitolo cattedrale, rappresentato dall’arcidiacono   Rinaldo e, quindi di Ancarano al vescovo Iustolfo, mentre Nereto sarebbe stato donato al Senato cittadino e Trione al Magistrato dei Consoli, istituito proprio dall’imperatore.

La critica storica ha definitivamente chiarito il tenore ed il valore di questi riferimenti documentari così abusati, tanto sul versante diplomatistico, che in quello dei contenuti, ma la storia di una ‘falsificazione’ e di questa in particolare, potrebbe ancora dirci molto proprio nella direzione di una più circostanziata datazione del racconto su Cristanziano.

Tuttavia nel nostro ragionamento anche un altro é il dato maggiormente significativo, parallelamente alla datazione.

(I testi delnovero diplomatico ascolano, a partire dal falso di Carlo Magno, sono editi da A.Franchi, Ascoli imperiale. Da Carlo Magno a Federico II (800-1250), Ascoli Piceno 1995 – Istituto Superiore di Studi Medievali “Cecco d’Ascoli”, Studi e Documenti, 1)

E’ la natura della supposta concessione carolina che ci interessa studiare meglio, perché, stando alla storiografia ascolana di età moderna, quella, pur se operata come gesto e valore meramente ‘beneficiale’ – e si insiste su questo concetto – in senso puramente patrimoniale la si vuole intendere, vale a dire non feudale!

Il bene concesso per donazione sarebbe stato, dunque, esente da ogni gravame, o prestazione feudale! Si può allora leggere nella supposta donazione anche una rivendicazione di autonomia, tutta del secolo XIV, da parte del possessore di Maltignano, cioè del Capitolo cattedrale, probabilmente contrastato nella stessa legittimità del possesso.

Siamo solo all’inizio di questa ricerca, che grazie al lavoro di Valter Laudadio va motivandosi proprio sul versante emidiano e, quindi, ascolano.

Ma il problema che Cristanziano solleva, tra i diversi, proprio come figura agiografica, che ‘entra nella leggenda di Sant’Emidio’, per riprendere la felice espressione del Fabiani, certamente si carica di una istanza di garanzia di continuità nel possesso del castello di Maltignano e va, conseguentemente, storicizzata con maggiore precisione ed avvedutezza in ben altro periodo.

Il Capitolo cattedrale ascolano avrebbe avuto una prima conferma del possesso di Maltignano nel 1137, dall’imperatore Lotario – ( per quanto già con Leone IX, nel 1052, Maltignano figura riconosciuto nel possesso del vescovo Bernardo II) – sino al vero e proprio discrimine, dopo il terribile confronto tra Papato e l’Impero di Federico Barbarossa, costituito dal provvedimento di protezione del Capitolo emesso da Alessandro III, nel 1179, il papa che quel confronto di fatto vinse.

(Per il novero diplomatico pontificio si deve ricorrere ancora a A.Franchi, Ascoli Pontificia, I (dal 342 al 1241), Ascoli Piceno 1996 (Istituto Superiore di Studi Medievali “Cecco d’Ascoli”, “Testi e Documenti” 3); II (dal 1244 al 1300), con regesti a cura di laura Ciotti, Ascoli Piceno 1999 (Istituto Superiore di Studi Medievali “Cecco d’Ascoli”, “Studi e Documenti”, 4. Va, inoltre tenuto presente un importante aggiornamento: Martina Cameli, Codice diplomatico dell’episcopato ascolano (secoli XI-XIII), Capponi Editore, Ascoli Piceno 2012 e della stessa Autrice, La chiesa scritta. Documentazione e auto rappresentazione dei vescovi di Ascoli Piceno tra XI e XIII secolo, Caselle di Sommacampagna (VR), 2009 – Biblioteca dei Quaderni di Storia religiosa, VII.)

Si apre, perciò, sotto questo profilo, la necessità di soppesare il reale contributo alla vicenda fornito dal nascente organismo comunale ascolano. E, proprio a questo riguardo, di valutare documentariamente la funzione del Capitolo cattedrale di Ascoli, quale espressione diretta dell’aristocrazia cittadina.

(La bibliografia sulla storia istituzionale dei Capitoli cattedrali è vasta, ma non vastissima. Tra gli storici italiani che maggiormente si sono distinti in questo ambito di ricerca, come dicevo sopra, va sicuramente ascritto Cosimo Damiano Fonseca del quale mi preme ricordare Le istituzioni ecclesiastiche del basso medioevo nell’Italia meridionale, in C.D.Fonseca (ed), Istituzioni, cultura e società in Italia e in Polonia. Atti del convegno italo polacco di studi storici (Università degli Studi di Lecce, Facoltà di Lettere e Filosofia. Istituto di Storia medievale e Moderna. Saggi e Ricerche, 1. Galatina, 1979, pp. 35-69; Id., Le istituzioni ecclesiastiche nelle Italie del tardo medioevo, in S. Gensini (ed), Le Italie del tardo medioevo –Collana di Studi e Ricerche-Centro di studi sulla civiltà del tardo Medioevo, San Miniato, 3.Pisa 1990, pp. 181-199; Id., Vescovi, capitoli cattedrali e canoniche regolari (sec. XIV-XVI), in G. De Sandre Gasparrini, A. Rigon, F. Trolese, G.M. Varanini (edd), Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo. Atti del VII convegno di Storia della Chiesa in Italia, Brescia, 21-25 settembre 1987. Italia sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 43-44. Roma 1990, pp. 83.138. Ulteriore e brillante sintesi di questo Autore è in La cattedrale e il suo Capitolo. Analisi comparata in prospettiva storica, ecclesiologica, canonistica, reperibile in Internet. Di grande utilità proprio per il repertorio bibliografico europeo, particolarmente tedesco, il saggio di E.Curzel, Le quinte e il palcoscenico. Appunti storiografici sui capitoli delle cattedrali italiane, in ‘Quaderni di storia religiosa’, X, che è una raccolta monografica sull’argomento, pp. 39-67, anche in formato digitale su “Reti Medievali”).

Cristanziano, perciò, mi appare potenzialmente funzionale a riaffermare l’ “ascolanità” del possesso di Maltignano in mani ecclesiastiche e cittadine, anzi, di più, a garantirla. Al tempo stesso, è figura emblematica a rappresentare una data comunità di interessi, perché Egli è un nobile, tale da rivelare momenti, persone, iniziative di una dinamica religiosa e politica intercittadina, che la storiografia locale fin qui non ha ancora meglio chiarito e presentato, restando sempre ai secoli centrali del medioevo; una dinamica dei ruoli effettivi dei diversi soggetti storici ‘faticosamente’ evidenziati nella documentazione e in particolare il ‘protagonismo’ del Capitolo cattedrale.

***

L’ Officium Sancti Migdii manifesta chiaramente la sua diretta dipendenza da L2 anche nella riproposizione fedele dei nomi di coloro che possono essere identificati come i compagni di cammino di Emidio.

Euplo, in primo luogo, è il suo primo diacono. Seguono Valentino e Germano. Con il primo, questi altri due sono i ‘discepoli’ di Emidio.

Tanto L1 che L2 non parlano di Cristanziano e nemmeno di Benedetto, ambedue ritenuti martiri nella sequela di Emidio, come più volte detto.

E’ il caso di dire che il novero, così ampliato, con Cristanziano e Benedetto, dei ‘discepoli’ emidiani, impone l’impostazione generale del problema della loro identificazione tenendone conto unitariamente, anche se sembra operante, come accennavo sopra, una diversa cronologia compositiva, diciamo, delle rispettive ‘tradizioni’.

Intanto il ‘nostro’ Benedetto non gode di un pronunciamento dei Bollandisti, che arrestano la loro compilazione al mese di novembre, non comprendendolo, inoltre, interamente, ma arrestandosi al giorno nove. La festa, ovvero il ‘dies natalis’ di Benedetto ricorrerebbe il giorno 12 novembre, supposta data del suo martirio ascolano.

(Un più recente pronunciamento su questa figura è di Furio Cappelli, S.Benedetto Martire, in La Cattedrale di Ascoli Piceno, a cura di A.A. Amadio, L.Morganti, M. Picciolo, D’Auria Ed 2008, pp. 31. Ha scritto di Benedetto anche il Fabiani, in Bibliotheca sanctorum, sub voce, 1962, che riprendo nel testo.)

Dunque, al pari di Cristanziano, possiamo dire che Benedetto, anch’Egli ‘entra’ nella leggenda di Emidio, nel senso già chiarito per il primo. L’erudizione ascolana, però, in questo caso ci mette per fortuna innanzi a dati storici incontrovertibili, che ci aiutano a interpretare meglio il senso di quella che chiamerei una voluta ‘interpolazione’ ideale dei testi ‘canonici’, L1 e L2, della biografia emidiana.

Di questo Benedetto, infatti, la documentazione ci avvisa che nel 1346 si ebbe la traslazione della testa in Cattedrale ad opera del vescovo Isacco Bindi (1344-1353 e 1356-1358).

Ancora nel 1688 il documento in questione, pertinente cioè all’iniziativa tecentesca, venne espressamente citato, come ‘Traslatio Capitis’ del 17 aprile 1346, nella Relatione e distinto racconto dell’Inventione, e Traslatione del Corpo di S.Benedetto Martire nobile romano et uno de Compagni del Glorioso Sant’Emidio Primo Vescovo e Protettore della Città d’Ascoli, nel propagare la Fede di Giesù Christo nel Piceno, Samnio et annesse Regioni. Dedicato alli Divoti de medesimi Santi. In Ascoli, appresso Matteo Salvioni, M.DC.LXXXVIII.

Testo, questo, sicuramente da riprendere.

(L’opera a stampa è conservata nella Biblioteca Comunale ‘ Giulio Gabrielli’ di Ascoli Piceno, con segnatura SSB-A 6.92 e venne citata, a sua volta, dal Fabiani nella Bibliotheca Sanctorum, cit., sopra, a proposito di Benedetto)

Furio Cappelli, sintetizzando anche il Fabiani, attesta che con Benedetto Martire in Ascoli si ha una vera e propria sostituzione di persona!

Per il Marcucci, invece, direi apoditticamente, Benedetto ‘romano’ è uno dei quattro compagni di Emidio che nella primavera del 301 pervenne in Ascoli. Non si parla ancora di Cristanziano, perché sarà proprio in Ascoli che incontrerà Emidio. S. Euplo sarebbe stato ordinato diacono in Roma dal papa stesso, Marcellino; San Germano e San Valentino, ‘tutti Trevirensi’ erano uniti al primo e ‘San Benedetto Romano, prescelto dal Santo Vescovo fra tutti quei novelli Cristiani Romani che lo accompagnaron da Roma fino a Pitino”.

( Saggio delle cose Ascolane, già citato, Paragrafo VI, passim. La fonte, anche qui dell’Autore è indicata in Lino diacono. Benanche il Ciannavei, cit. si intrattiene su Benedetto Martire, nel Compendio di Memorie Istoriche…trattando della chiesa di San Pietro in Castello)

Anche questa accezione ‘romana’, direi ‘politica’, di Benedetto ha un senso profondo, allorché, come penso, costituisce un dato schiettamente trecentesco locale dal valore rivelativo.

Allorché infierì nuovamente la persecuzione in Ascoli molti coraggiosi restarono in Città, continua il Marcucci, avendo accanto i Leviti Germano e Benedetto. Altri si rifugiarono sui monti, accompagnati da Valentino e Cristanziano.

A questo punto lo stesso ‘Abate’ Marcucci segnala che nella repressione fieramente insorta caddero martiri Germano e Benedetto, il 12 novembre ed i loro corpi sepolti da tale Antimo, poi anch’esso martire, nel Castello dell’Isola, in Ascoli stessa.

Dopo Cristanziano l’ultimo ad essere martirizzato fu Valentino nel 312.

La vicenda, come accennavo, è sinteticamente ricostruita da Furio Cappelli, studioso esimio, tra l’altro, della Cattedrale ascolana e storico ben informato.

Sulla base della documentazione esibita tra le carte di Fonte Avellana si apprende che nel 1142, in Ascoli, era pervenuto il corpo, o cospicue parti di esso, di un santo martire monaco in Terra polacca.

La cerimonia ebbe caratteri di particolare solennità e vi parteciparono tre vescovi, innanzitutto l’ascolano Presbitero. Quelle reliquie erano di San Benedetto da Benevento, martire in Polonia e vennero riposte nella Chiesa proprio allora consacrata, o riconsacrata, di San Pietro in Castello.

Come detto, nel 1346 il vescovo di Ascoli Isacco Bindi ‘trasferì la testa del santo in Cattedrale”. La prelevò dalla predetta Chiesa di San Pietro.

Ci fu, dunque, una sorta di ricognizione delle reliquie. La sanzione di questo avvenimento importante la si rinviene proprio nello Statuto di Ascoli del 1377, ove il dies natalis di San Benedetto Martire, ‘compagno di Sant’Emidio’, il 12 novembre, in città viene considerato giorno festivo.

Qui la cronologia è obbligata. Tra il 1346 e il 1377 la nozione di Benedetto ‘romano’ è parte integrante della ‘legenda’ emidiana!

L’amico Furio Cappelli è studioso attento e troppo avvisato per ritenere che qui si tratti di normale ‘credenza popolare’, ovvero che l’identificazione del corpo di Benedetto ‘romano’, in quei frangenti determinatasi, proceda senza l’intelligenza del vescovo stesso.

La ‘credenza’ non s’avvera ex nihilo, anche sulla base di una sua trasmissione orale. Anzi, a mio avviso, quella viene sufficientemente stimolata, per essere, poi, con convinzione codificata nello Statuto comunale, oltre che in ambito ecclesiastico.

Significativa, al riguardo, è la citazione stessa di Sebastiano Andreantonelli, che formula una tesi autonoma su Benedetto e non lo assimila al novero dei ‘compagni’ di Emidio e sottolinea che nei Martirologi, che si richiamano alle feste del 12 novembre, questi iscrivono la figura di San Benedetto di Benevento, martire in Polonia e seguace di San Romualdo (952-1027)!

( S. Andreantonelli, Historiae Asculanae libri quattuor. Accessit Historiae sacrae liber singularis, Patavii 1673).

L’Andreantonelli, la cui opera è postuma e contestatissima dai suoi epigoni locali, si differenzia, quindi, dalla ‘tradizione’ del Benedetto ‘romano’

Ampiamente riproposta, come dicevo, nel secolo successivo.

Ma questo del dissenso sulla pubblicazione postuma dell’Andreantonelli è un altro problema, non privo di grande interesse e, se mi si consente, dalle implicazioni diciamo retroattive, proprio nel merito della documentazione basso medievale di Ascoli.

Romualdo, come è noto, è personaggio conosciuto in Ascoli tra il 1009-1010, dove aveva fondato il monastero di S.Salvatore di Sotto. Lo stesso Eremo di Sant’Ilario (Sant’Emidio alle Grotte) per iniziativa del vescovo ascolano Presbitero venne donato a Fonte Avellana.

Così Furio Cappelli: “La vicinanza di Benedetto di Benevento alla vicenda esistenziale e all’insegnamento di san Romualdo è tale che la presenza in Ascoli di reliquie a lui correlate permette di asserire che nel sec. XII l’impronta del messaggio romualdino era ancora ben viva nella religiosità e nelle aspirazioni ideali della Chiesa ascolana”. Non si può non condividere tutto questo.

Resta il fatto che Benedetto ‘romano’, il che evoca lo scenario ‘grandioso’ dei rapporti di Ascoli con l’Urbe lungo tutta la vicenda della riorganizzazione dello Stato della Chiesa e della posizione di Ascoli nell’ambito delle Costitutiones Marchiae Anconitanae del card. Albornoz (+1367); resta il fatto che la figura di Benedetto marca, a mio avviso, una sorta di presa di posizione della Città nella sua ricollocazione politica nei confronti del Papato e del ‘suo’ Stato.

Ascoli è tra le cinque maggiori città, con Ancona, Fermo, Urbino e Camerino, anche se il panorama cittadino marchigiano viene poi integrato con altre cospicue realtà ed a questo riguardo è ancora più pertinente l’elenco fornito nella Descriptio Marchiae Anconitanae del 1356 circa.

Difficile è, però, nell’evidenziare soltanto la vicenda di questo “novello” San Benedetto, (per quanto più antico dell’autentico, che è del secolo XI), sottrarsi alla temperie, tutta trecentesca, interna ed esterna alla Città, di riassetto regionale e cittadino all’interno del rinnovato Stato della Chiesa, in cui si siano potute materializzare ulteriori istanze identitarie , sempre connesse al ruolo identificante di Emidio: per una Città, ripeto, oramai più direttamente e concretamente inserita nell’orbita romana.

Di cui, lo ripeto, il Benedetto ‘romano’ si fa in qualche maniera rivelatore e, al tempo stesso, segno emblematico di una continuità storica tutta emidiana, evidentemente sottoposta a verifica.

Di certo e occorre sottolinearlo doverosamente, non abbiamo fin qui una documentazione ulteriore più pertinente del ‘mito’ santorale trecentesco ascolano, che fosse di prima mano, né ci aiuta la pur presente cronachistica locale coeva.

“Cum Sociis aliis * Emindius hic requiescit”. Questa iscrizione, nel coperchio del sarcofago emidiano nella cripta della Cattedrale di Ascoli, non é priva di fascino e, al tempo stesso, operante nella storia del culto emidiano. Credo anche nel secolo XIV, allorché potette certamente fare da sfondo, se non da input, a quella che definirei una vera e propria inventio sul piano letterale e della tradizione agiografica degli ulteriori ‘compagni’ di Emidio.

E’ dal secolo XI che si parla di ‘compagni’suoi nell’avventura evangelica. L’iscrizione lo conferma e al tempo stesso, lungo i secoli, ne ‘legittima’ la storicità.

Significativo, poi, credo sia l’uso del termine plurale ‘sociis’, proprio in luogo di ‘discipulis’. Perché L1, proprio al suo esordio parla espressamente di ‘discepoli’ e così fa L2, allorché Emidio decide di intraprendere il viaggio al di là delle Alpi: “Mane autem facto sanctus Migdius ad orazione solitam hymnosque matutinos consurgens tres discipulos suos Euplum, Geramnum atque Valentinum convocat”.

La nozione ‘aperta’, pertanto, dell’iscrizione tombale di Sant’Emidio conforta, in un certo qual modo, l’operazione successiva dell’ampliamento del novero dei seguaci del Protovescovo di Ascoli.

Cristanziano e Benedetto, allora, sembrano acquistare concretezza devozionale e storica lungo un processo di promozione del culto emidiano, che ha profonde motivazioni istituzionali e politiche in ambito ecclesiastico e civile e che diventa tangibile nell’ Ascoli del secolo decimo quarto.

(Sarebbe da escludere la identificazione del San Benedetto di Folignano con il Nostro, per il fatto stesso che questa chiesa di proprietà del Capitolo ascolano è appunto menzionata nel privilegio di Alessandro III, del 1179, al Capitolo stesso e dunque con una cronologia inequivocabile. Più realisticamente si tratta di San Benedetto da Norcia )

***

Siamo partiti in questa appassionante lettura del nuovo testo di Valter Laudadio dalla evidenziazione di un problema storico, direttamente connesso allo studio dell’Antifonario ascolano del secolo XIV, e cioè dal ruolo del suo committente, che fu il Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Ascoli Piceno. Quello di cui discutiamo è il più antico fin qui individuato. E un accenno diretto all’Ufficio Divino, quale signacolo stesso di santità di Emidio, è già nelle premesse stesse di L2 , a cui già ho fatto ricorso, quasi che vi si delineasse, con esso, l’attività precipua degli uomini di Dio: “Mane autem facto sanctus Migdius ad orazione solitam hymnosque matutinos consurgens..” . E’ un richiamo, si, ma non un semplice richiamo alla funzione liturgica; alla preghiera liturgica e non meramente personale. Vi si può intravedere, se vogliamo, una riflessione sentita sul ruolo stesso dei Canonici in Coro.

L’Antifonario è il frutto di una revisione di testi, effettuata nella seconda metà del secolo XIV. Tale ‘revisione’ può essere qualificata storicamente nell’ambito di una vasta iniziativa di rilancio del culto di Sant’Emidio, a questo punto Protovescovo e Martire di Ascoli , nonché ‘Patronus Civitatis’.

Perché, dunque, questo rilancio? A che istanze esso corrispose? E, ancora, questo rilancio è solo un fatto ‘ecclesiastico’, o sottende anche un intervento laico e civile? Altrimenti detto, l’incremento cultuale è qualcosa che riguarda anche le élites cittadine e, segnatamente, la sezione nobiliare ed aristocratica?

La migliore definizione, pur in difetto (ed è un difetto grave!), per ora, di una documentazione più illustrativa e prosopografica; la migliore definizione del ruolo che, sia pure in una fase di ripiegamento istituzionale, propria del Trecento, concerneva al Capitolo cattedrale, ne mette in evidenza una data vitalità, un protagonismo di valenza più generale, dentro e fuori la Città.

Il caso di Maltignano, in questo senso, mi sembra più che indicativo, o quantomeno fortemente condizionato dall’effettiva iniziativa del Capitolo cattedrale.

Ma la promozione del culto emidiano nel Trecento da luogo all’ampliamento dello schema del rapporto devozionale tra Emidio e la Città stessa. Cristanziano e Benedetto, dai profili schiettamente cittadini e dai ‘caratteri’ così diversificati, ma ben aderenti alle contingenze temporali e locali, sono innanzitutto intesi ad una ulteriore valorizzazione del ruolo di Emidio nella evangelizzazione di Ascoli, quindi nella formazione della sua identità culturale, religiosa e civile.

Tutti percorrono e fecondano la Terra Ascolana annunciando il Vangelo di Cristo! Essi, inoltre, sono veri e propri ‘ambasciatori’ di Ascoli verso l’esterno.

Certo, non compaiono in L2 , ma, come ci avverte l’erudizione locale successiva, essi fanno parte integrante del panorama santorale cittadino. Chiari riferimenti ad essi si hanno proprio nel XIV secolo. Né bisogna trascurare, poi, a questo fine, il problema della iconografia di questi Santi, che personalmente non ho potuto approfondire in questa sede.

I dati trecenteschi su Benedetto, però, e quelli, altrettanto significativi del primo cinquecento su Cristanziano, che ne consolidano una ben più antica coniazione, non possono essere trascurati. Inoltre Cristanziano è presente in Agnone, ove nei primi decenni del Trecento, come dissi, è definitivamente attestato il culto verso Emidio. Egli è, singolarmente, il Patronus loci di Maltignano.

(Vengo avvisato che esisterebbe una antica raffigurazione di Cristanziano anche a Lisciano, probabilmente anteriore alla citata Tavola di San Vittore, in Ascoli, che però non ho potuto ancora personalmente ammirare).

La codificazione statutaria del 1377, che ha i suoi naturali presupposti nel secolo precedente, valorizza bene il ruolo di Benedetto. Quello di Cristanziano, invece, qui sfugge, ma è presente nella celebrazione cittadina, tanto da possedere, come sottolineato dai Bollandisti, un Officium proprio, fin qui inedito.

Tornando ai loro ruoli, che possiamo cogliere nella loro valorizzazione agiografica, l’uno ‘ascolano’ e ‘nobile’, l’altro ‘romano’ (nel Seicento verrà qualificato anch’Egli ‘nobile romano’); l’uno addetto a sedare le tempeste (ed ogni tipo di ‘tempeste’, anche quelle civili!), l’altro a richiamare e sottolineare il legame di Ascoli con Roma, passando, ancora con Cristanziano, per la riaffermazione canonicale dell’ imperium del Capitolo su Maltignano che il Santo levita ascolano chiaramente suggella; tornando ai loro ruoli, dicevo, si intravede meglio il profilarsi attorno la loro vicenda l’intreccio di una comunità di interessi che deborda anche dalle fasi più puramente religiose e cultuali della devozione, così significativamente promossa durante il Trecento. Le tracce del loro passaggio nel paesaggio cultuale e culturale ascolano sono ben evidenti, come ho cercato di dire, a ispirarci una più puntuale riflessione.

Siamo, dicevo, alle prime battute di una ricerca che Valter Laudadio ha avuto il merito di inaugurare su di un piano culturale e scientifico di primo livello. Essa vorrebbe assumere direttrici nuove, o per meglio dire innovative, ispirate cioé alla problematica storica sollevata proprio dalla promozione cultuale emidiana del Trecento, rivendendo innanzitutto tutta la documentazione capitolare superstite sino al sec. XIV compreso. La recente individuazione, proprio in questi mesi, di un ciclo di affreschi nella Cripta della Cattedrale ascolana, adesso in corso di restauri, che sarebbero da datare tra l’XII e il XIII secolo, rivaluta enormemente, proprio sul piano storico, il ruolo che ebbe l’iconografia emidiana nella promozione del culto e, per quanto, già ora, la presenza in quel ciclo della figura di San Francesco, mi fa seriamente dubitare di questa prima, e credo provvisoria datazione, che andrebbe spostata in avanti, l’importanza del ritrovamento mi pare indubitabile.

Ma potrebbe trattarsi di una composizione organica, svolta nel tempo e quindi a più mani.

In ogni caso tutto concorre a delineare le fasi culturali del ‘rinnovamento’ del culto emidiano nel Trecento, da quella agiografico-letteraria a quella propriamente liturgica e, quindi, anche iconografica, quali momenti mai avulsi dalla complessiva dinamica sociale e politica del tempo, ricercandone le connessioni, anche sociali, economiche e civili, nelle motivazioni, individuali e collettive, più profonde, di cui anche Cristanziano e Benedetto martiri, come sembra, sono icone ‘documentarie’ certamente rivelative.

 

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In conclusione del suo pregevole e prezioso lavoro Valter Laudadio ci offre una interessante lezione di ‘metodo storico’.

Da vero cultore del ‘documento’, cioè di ciò che sta ad ‘insegnare’, a ‘dimostrare’, perché derivato dal latino ‘docere’, egli , sotto il titolo di ‘Un adattamento in volgare della Inventio sancte Crucis di Iacopo da Varazze’, il cui testo ha reperito nell’Archivio mandamentale di Offida, databile tra il XIII-XIV secolo, ci prospetta ‘un riferimento alla realtà ascolana’ nella sorgente di acqua della chiesa dei SS.Vincenzo ed Anastasio, ritenuta miracolosa contro la peste’. Ora il riferimento anche alla ‘legenda’ emidiana, laddove l’acqua battesimale, quella appunto fatta scaturire lì da Emidio e la guarigione dalla peste, di cui beneficiò, stando al racconto, lo stesso Costantino (guarigione dell’anima e del corpo) è evidente. I testi agiografici sono sempre e comunque contaminati e contaminanti.

La ‘legenda’ emidiana ha, anche in questo caso, reperito la sua vis informativa da situazioni narrative di questo genere. La sinossi ideale di questo testo, cioè L2, con il racconto volgarizzato della Legenda Aurea di area offidana, ha dunque anche il senso di descrivere l’ambiente culturale e di studiare quelle contaminazioni e, quindi, annuncia apertamente una storia delle idee in età basso medievale.

La sua ricerca dell’oralità, apertamente dichiarata già nel suo primo lavoro su Emidio, può avere qui un ulteriore livello di indagine selettiva: perché il racconto orale, proprio in quanto comunicazione, si fa, diventa documento scritto, quando è il confronto degli uomini con la realtà concreta dei bisogni, spirituali e fisici, a renderlo ‘strumentalmente’ e concettualmente insopprimibile e necessario.

Per ricercarne, scoprirne e rivelarne le cause oggettive, nel contesto effettivo di una data realtà storica, allora, il documento scritto, comunque, individua quell’area culturale in cui ebbe origine oralmente il bisogno della comunicazione ed in cui il racconto stesso si è strutturato. Diversamente detto, il testo ‘legendario’ non è mai il frutto di una fantasia ‘astratta’, ma raccoglie tutti gli elementi utili e veicolari di una comunicazione che si ritiene fondamentale.

L’ho già citato spessissimo. Mi riesce difficile evitarlo anche ora. ‘Ciò che la storia ignora, la leggenda conosce’ (Hippolite Delehaye). La ‘leggenda’, allora, è parte integrante e, per molti versi, fondamentale della realtà storica effettiva.

                                        Antonio Alfredo Varrasso

   Associazione «Sant’Emidio nel Mondo», Ascoli Piceno.

 

 

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