Cristanziano diacono e martire di Ascoli: figlio di un errore agiografico?

di Antonio Alfredo Varrasso.

Di Cristanziano, supposto diacono martire di Ascoli Piceno e, altresì, compagno evangelizzatore di sant’Emidio, proto vescovo di Ascoli stessa, sappiamo pochissimo. La sconfinata letteratura agiografica medievale e della prima età moderna non ci ha fin qui confortato di alcun scritto, o componimento che fosse, sulla Vita, o sulla Passione, che ci parlassero direttamente di Lui e delle sue gesta. Quel poco che conosciamo lo apprendiamo da una tradizione essenzialmente orale, che in età moderna, nel secolo XVIII, venne raccolta e, quindi, codificata in un testo scritto ad opera dell’ascolano Francesco Antonio Marcucci (1717-1789), precisamente nell’anno 1758. Chi tentò di delineare, molto più recentemente, le coordinate agiografiche di Cristanziano fu il compianto storico ascolano, Don Giuseppe Fabiani (+ 1965), nelle pagine della Bibliotheca Sanctorum (sub voce).

E, in effetti, fu un mero tentativo! Dallo stringatissimo testo di Fabiani vorrei partire per dare solo alcuni elementi di quel quadro storico che pure emerge, anche se insufficientemente, da quella stessa tradizione. Ed uno di questi elementi è certamente costituito dal fatto che Cristanziano è onorato, ancora oggi, quale ‘Patrono principale’ di Maltignano, il che ci ha offerto l’occasione di queste prime riflessioni, ma anche di altri Luoghi e non solo nell’Ascolano. Lo ritroviamo perfino a Lodi, con un Oratorio a Lui dedicato, nella Parrocchia di San Gualtero già a metà Cinquecento, o poco più. Il Fabiani in poche righe espone, ma sarebbe meglio dire suggerisce, una tesi, che, in ogni caso, è doveroso considerare come quella che vuole accede ad una più moderna ed aggiornata critica storica sul personaggio Cristanziano. E come tale, a mio modo di vedere, è una tesi che crea più problemi di quanti intenderebbe risolvere. E dire che Egli, un po più fugacemente, ma sempre con aperta e dichiarata prudenza, s’era già occupato di Cristanziano nelle pagine del “Nuovo Piceno”, negli anni Cinquanta, in un articolo a carattere divulgativo, intitolato “ Il Protettore contro la grandine”. Dopo aver dichiarato che san Cristanziano è un martire venerato in Ascoli, dove “entra” nella leggenda di sant’Emidio, il Fabiani ci illumina sulla storia stessa del nome del santo, che sarebbe derivato da una scorretta lettura del Martirologio Geronimiano. In questa poderosa raccolta di nomi e di feste dei santi sino allora conosciuti, cioè tra VI e VII secolo, “un lettore disattento e frettoloso”, decifrando le prime quattro lettere di Crisogono, cioè CHRI, ne avrebbe erroneamente derivato quello di CRISTANZIANO, o, per meglio dire, CHRISTANZIANO. Come che sia, resta ancora in piedi la questione se qui trattasi di un errore materiale, oppure intenzionale, di cui il Martirologio Geronimiani, purtroppo, offre non pochi esempi. Alla fine il Fabiani aggiunge una nota che suona ambigua, giacché afferma che Cristanziano “è invocato contro la tempesta e il suo culto sembra confermato il 3 settembre 1803” dal papa Pio VII.Ed in effetti quella conferma di culto ci fu e fu anche particolarmente elaborata e sofferta. Insomma, per quanto stringata la breve nota del Fabiani, ce n’è però quanto basta a suggerire una riflessione ben più vasta e complessa. Mi limito qui solo ad accennare, appunto, ad alcuni problemi che ne derivano. Quello del nome Cristanziano è certamente l’aspetto saliente dell’argomentazione del Fabiani, perché è dal nome – nel ragionamento stesso dello Studioso, che si appoggia a Critici di alto livello – che sarebbe derivato il personaggio; un personaggio fittizio: così come sottolinea il bollandista Hippolyte Delehaye nel Commento critico al Geronimiano stesso, nuovamente studiato dal Quentin, oltre che, inizialmente, dal De Rossi e Duchesne, che ne approntarono la prima edizione critica, nel 1894. Il Martirologio Geronimiano, ricordiamolo, è una compilazione che riunisce in un unico corpus antichissimi calendari delle Chiese di Oriente e di Occidente. E’ un testo formatosi, come accennavo, tra la fine del VI ed i primissimi del VII secolo, in area italiana. Più recentemente, anzi, è stata proposta una datazione nella prima metà del V secolo. Giovanni Battista de Rossi e Luois Duchesne che, come sopra, ne curarono per primi l’edizione critica, si proposero il compito di ricostruire il testo originario del Martirologio, la cui più antica recensione conosciuta, come è noto, fu quella francese di Auxerre, datata alla fine del secolo VI; ricostruzione sulla base della cospicua mole di tutti i manoscritti successivi all’originario, che erano stati notevolmente accresciuti, interpolati ed infarciti di moltissimi errori. Dopo un esame scrupolosissimo di questi scritti i nostri eroi, è il caso di dirlo, de Rossi e Duchesne ne scelsero sostanzialmente tre, perché ritenuti i più prossimi e meno adulterati rispetto alla redazione originaria. Essi sono: 1) il codice Epternacensis, che è databile tra il VII e l’VIII secolo, proveniente dall’abbazia di Echternach, in Lussemburgo; 2) il codice Bernense, già detto Mettensis, perché scritto a Metz, datata alla fine del secolo VIII; 3) il codice Wissemburgense, già detto Blumano e poi Guelferbytano, datato tr i secoli VIII-IX. Ora, nell’indice onomastico della edizione critica del Geronimiano troviamo, appunto, Cristanziano, nelle seguenti varianti: 1) nel Bernense è detto CRISSANTIANI; 2) nell’Epternacense CRISENTIANI; 3) nel Wissemburgense, CRISANTIANI. La festa è indicata: XIII kalendas martii, cioè al 17 febbraio ed il santo è detto, come del resto Crisogono, un martire di Aquileia. Negli stessi codici che ho ricordato ritroviamo anche Crisogono Se errore, dunque, c’è stato, come sembra, esso ha dato luogo ad uno sdoppiamento mercé il quale è comparso un nuovo santo, senza che, però, scomparisse l’altro. E siccome tale errore è, come si vede, ripetuto nei tre manoscritti suddetti, è ben chiaro che esso andrebbe localizzato nei manoscritti antecessori di quelli in questione. Si tratta, in questo senso, di una questione, non l’unica in materia, ancora aperta al mondo della ricerca. Ma come si rapporta questo Cristanziano, detto martire aquileiense, come si è visto, nel Geronimiano con il Cristanziano diacono e martire di Ascoli? A seguire il Fabiani si tratterebbe di un rapporto strettissimo e diretto. Egli afferma chiaramente che quel Cristanziano “entra” nella leggenda di sant’Emidio! Ora, però, noi non siamo ancora in grado di stabilire quando in Ascoli si venne a proporre il racconto del Cristanziano locale e, per la verità, non conosciamo nemmeno le circostanze, che sono i punti determinata della nostra ricerca. E’ un fatto che il nome di Cristanziano, così come lo recuperiamo nei manoscritti del Geronimiano,è certamente più antico e dovette verosimilmente godere di una data circolazione. Forse quel nome è già nel capostipite del Geronimiani! Ma senza pretendere di risolvere qui una problematica ancora aperta, come si diceva, è un fatto non trascurabile che Cristanziano dal Geronimiano passò nel martirologi storici del secolo IX. Lo ritroviamo, infatti, nella gamma dei manoscritti del Martirologio di Usuardo studiati da Heribert Rosweyd (1569-1629) e poi utilizzati dal P. Carnandet per l’edizione critica del grande martirologio usuardino (AA:SS. Iunii, t. VI, 1866). Qui si dice: “In Aquilegia Crisantiani martyris et aliorum XC”, con la festa che permane al 17 febbraio. E se consideriamo il fatto che questo martirologio, composto per Carlo il Calvo, nell’875, stette poi alla base, nel secolo XVI, della compilazione ufficiale del Martirologio Romano, dobbiamo ritenere che il nome di Cristanziano non dovette di certo restare confinato negli elenchi dell’usuardino, che, di par suo, ebbe una enorme diffusione. Un esempio concreto di questa circolazione lo propongo attraverso una documentazione abruzzese del XII secolo, annessa al cartulario monastico di San Clemente a Casauria. (Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi, Fondo latino n. 5411: Liber instrumentorum seu chronicorum monasterii casauriensis, ff. 271v-272r). Trattasi di una concessione di terreni, datata 23 novembre 1171 e disposta dall’abate di quel monastero, il monaco e cardinale Leonate, a favore del nobile Mallerio de Palena, in cui si afferma: “(…) concedimus tibi quoddam tenementum sancti Cristantiani, in territorio Pinnensis, ultra flumen qui dicitur Cignus, in pertinentiade Aalanne”. Ma c’è di più! Tra le condizioni che regolano la concessione si menziona la chiesa dedicata a san Cristanziano, che in quel contesto svolge una funzione eponimale evidente. Starei per dire che quella funzione gliel’assegna proprio l’accortissimo abate concedente. Infatti quella menzione della chiesa, o cappella, e del tenimento è l’unica in tutto il novero documentario concernente la zona in questione. Si ha l’impressione di assistere ad una fondazione recente, necessaria proprio alla colonizzazione monastica di quell’ambito territoriale. Nel documento, pertanto, si afferma: “ (..) cappellano etiam qui ecclesiam sancti Cristintiani quam ad manum et ordinationem nostram et successorum nostrorum reservavimus”. Notate, per intanto, anche qui la lieve differenza delle due dizioni, che concernono chiaramente la stessa persona e cioè Cristantiani e Cristintiani. E’ una differenza da tenere in conto anche per orientarci meglio nelle successive fasi dello sviluppo del culto tanto in Ascoli quanto nll’Abruzzo e nel Molise. Un’altra documentazione abruzzese, più tarda, ci porta in pieno secolo XIV, epoca in cui è ragionevole pensare già operante in Ascoli stessa la figura di Cristanziano. Questa volta è un ‘mandato’ papale, datato in Avignone, 10 marzo 1358, che chiama in causa tre ecclesiastici: il vescovo di Valva, quello di Trieste (ma qui potrebbe esserci un errore materiale, verosimilmente è il vescovo Teatino) e l’abate celestino di Santo Spirito, presso Sulmona. Questi sono chiamati a eseguire la disposizione secondo la quale tale Iacobo di Benedetto del Casale di Bunione (?) (l’editore del documento F.Savini dice Bugnano, ma potrebbe essere Bugnara, presso Sulmona), che è un beneficiato perpetuo della Chiesa di santa Croce di Sulmona, deve ricevere un canonicato e relative prebende della Chiesa di san Leucio, nonché la quarta delle decime e dei funerali di Santa Croce in Atessa e delle parrocchiali di san Cristanziano (Christinziani), santa Barbara e santa Giuliana, che si trovano nelle pertinenze di Atessa; tutti beni che non eccedono il valore di 40 fiorini d’oro all’anno. (cfr. Septen dioeceses aprutienses medii aevi in vaticano tabulario (…) cura et studio Francisci Savini, Roma 1912, pp. 316-317, doc. n. 140). Questo documento segue cronologicamente l’elenco che, tra il 1324 e 1325, nelle Rationed Decimarum Aprutii, (diocesi di Chieti ) già ci presenta la chiesa di san Cristanziano “de casale predicto”, appunto nell’area di Atessa, ma che appare pure quale dipendenza di un altro monastero, quello cistercense di San Vito al Trigno (de Trineo). Ma non è l’unica chiesa, questa, dedicata a Cristanziano. Ve n’è anche un’altra in San Martino sulla Marrucina (Chieti), dove poi Cristanziano assurgerà al patronato cittadino. Ciò che, per questi motivi, ci preme studiare meglio, è il rapporto tra la città di Agnone e questo segmento della diocesi teatina, tenendo conto che siamo sempre nello stesso contesto amministrativo e, direi, feudale, dell’Abruzzo Citeriore. In Agnone, anche qui, Cristanziano è il Patrono cittadino, ma con una connotazione ‘ascolana’ più viva, perché già nel 1315 vi è accertata la presenza di una chiesa dedicata a sant’Emidio, verosimilmente fattavi costruire dagli Ascolani stessi. Ma tutta questa rete insediativa necessita certamente di una più accurata esposizione, specialmente per gli indubbi legami che intercorrono tra Ascoli stessa ed Agnone, sui quali tornerò in altra sede. Dunque, conosciamo Crisantiani e Cristintiani e, quindi, Christinziani nel Trecento. E’ questa la forma onomastica con cui la figura del santo, come dice il Fabiani, “entra” nella leggenda di sant’Emidio ed in Ascoli? Riflettiamo più da vicino su questa tradizione, che è tutta da rivelare alla nostra attenzione. Che, è vero, la conosciamo codificata in uno scritto del Settecento, ma è sicuramente di molto più antica. Il racconto del Marcucci, ma non solo il suo e già prima di lui, come accennavo all’inizio, poté delinearsi perché di Cristanziano in Ascoli si parlava, e da tempo, direi almeno da tre secoli prima. Questo racconto, per fare uno degli esempi più illustri, sta certamente alla base, nel 1514, dell’opera pittorica di Cola dell’Amatrice (1480/89-1547), allorché elaborò e dipinse la splendida tavola di San Vittore, in Ascoli, in cui il Santo è raffigurato in uno strettissimo rapporto ideale con la Città, dipinta sullo sfondo.

C’è perciò da chiedersi: quali e di che tipo furono le fonti di Cola dell’Amatrice? Considerò probabilmente le più antiche raffigurazioni di Cristanziano esistenti a Lisciano ed a Paggese, datate al secolo precedente e forse anche consimili altre. Ma non è che Cola conobbe anche un testo narrativo, oltre che orale, anche scritto? Mi sembra indubbio che quella del 1514, la più che stupenda trasposizione figurativa in San Vittore, fosse espressione più di un rilancio del culto per Cristanziano, favorito soprattutto da una committenza ben evidenziata a margine del dipinto stesso. Insomma, il popolo lo conosceva. Vedete, Egli è detto uno dei compagni di sant’Emidio e in questa pittura Emidio non c’é. In Ascoli si comincia a parlare di “compagni” del grande Emidio in due importanti circostanze. La prima è quella del testo scritto del prete Valentino, o a questi attribuito, della Vita di Sant’Emidio; testo ormai sicuramente datato al secolo XIV. Per quanto già accennati nel consimile testo del secolo XI, in quello trecentesco incontriamo Euplo, Germano e Valentino stesso. Ancora nel Trecento, e sarebbe la seconda volta, precisamente nel 1377, quando si pubblica lo Statuto cittadino (certamente sulla base del precedente duecentesco), si menziona espressamente Benedetto, anch’egli martire, quale compagno di Sant’Emidio. Di Cristanziano si tace! Allora, in una versione diremmo ulteriormente aggiornata, ma anche necessariamente più tarda, Cristanziano costituirebbe uno di quelli che, adesso, sono i cinque discepoli martiri del santo proto vescovo Emidio. Notiamo ancora che non solo Egli sarebbe, a differenza degli altri, di patria ascolana, ma costituirebbe il primo tra i cristiani ascolani ad abbracciare la causa di Emidio. Tanto basta per intuire che forse potremmo essere di fronte alla costruzione di un mito cittadino! E il Cristanziano della tavola di Cola dell’Amatrice è il diacono martire illustrato in questa tradizione, che ci apparirebbe enucleatasi tra il secolo XIV e lungo tutto il Quattrocento. Per noi, ripeto, diventa essenziale cercare di isolare il nucleo iniziale della storia, da cui il racconto prese le mosse, per arricchirsi man mano di altri particolari, ma ben avvertendo – come ho cercato di dire fin qui – che gli Ascolani, o chi per loro e con loro, con Cristanziano, a partire dal nome, potettero attingere a materiali agiografici già in circolazione da molto tempo. Quella di Cola dell’Amatrice, allora rappresenta una stupefacente sintesi, sublimata in un testo figurativo molto efficace, di quella tradizione ascolana e si tratta di una raffigurazione sulla quale dovremmo ulteriormente riflettere, perché, a ben vedere, ci dice molte altre cose di quella tradizione che essa richiama e in gran parte rivela. Ed è a questa tradizione, in modi e forme del tutto originali, che converrà esaminare nel dettaglio, per non dire con un piglio innovativo tutto personale, si dedicò, come accennai, in pieno Settecento il ‘nostro’ Marcucci. Il quale, già nel 1754, s’era occupato pubblicamente di san Cristanziano, predicando proprio qui, nella Chiesa di Maltignano, durante la festa del Patrono, in quel 13 di maggio. Quattro anni dopo, in data 29 aprile 1758, diresse al vescovo Giuseppe Pitocco (+1771) di Trivento una lettera di risposta ad una precedente missiva di quel presule. Non è certo se a lui personalmente diretta, oppure al clero ascolano; lettera che non abbiamo ancora trovata. In ogni caso è il Marcucci che risponde, allegando uno scritto di suo pugno, che chiama “Ristretto di vita del glorioso martire levita San Cristanziano”. Lo invia, questo componimento, ben finalizzando il suo gesto e non solo come atto di ringraziamento, ma e di più come invito esortativo all’incremento del culto nella diocesi di Trivento e, particolarmente, in Agnone, dove già era fiorente da tempo. Perciò la sua è prima di tutto una iniziativa direi di carattere agiografico e culturale, affidandosi pure ad altri autori che ne avevano parlato, come l’Andreantonelli, Niccolò Marcucci, suo avo e, particolarmente, il gesuita Paolo Antonio Appiani. Il racconto del Marcucci, che, come egli scrive, “è il massimo ch’io tributare posso in questo genere”, è un testo, come accennavo, dall’ambizione agiografica, in cui il dato storico, quando viene fornito, è inteso a sostenere e rafforzare il gesto di edificazione religiosa. La storia, a partire dalla cronologia, tende a collocare Cristanziano in un tempo ed in un luogo ben precisi. In questo senso pure i richiami allo sviluppo del suo culto tendono fortemente ad una riconferma, per certi versi una nuova rivelazione del modello di santità incarnato dalla figura di Cristanziano.Distribuito in 19 capitoletti, che si chiudono con un Responsorio ed una Orazione in onore del Santo e che erano già presenti nell’omelia del 1754, il “Ristretto”, non senza far avvertire una data fatica compilativa, delinea un essenziale profilo biografico del santo. Pertanto egli sarebbe nato in Ascoli attorno all’anno 280 d.C., per morirvi, quasi trentenne, nel 310 d.C.. Nessun Autore tra quelli citati, prima di lui aveva decisamente affermato tutto questo! Ricevuto il battesimo dallo stesso sant’Emidio, assunse il nome di Cristaziano, di cui il Marcucci propone una sorta di paraetimologia, che occorrerà tornare ad evidenziare. Egli scrive:”Non giacché questo il proprio nome fosse, che sinora l’ignora, ma fugli bensì dato in Ascoli dagli antichi Cristiani, per dinotare che tra (i) Cittadini dal santo Pastore battezzati egli era stato il primo e più antico Cristiano”.< La congettura si presta anche a qualche evidente incongruenza, se di nome di battesimo si tratta e se con esso, come sembra, si fosse abbandonato il nome gentilizio originario. Peraltro, qui, il Marcucci sembra voler recidere l’ulteriore tradizione, che tornerà importante per la storia stessa di Maltignano, secondo la quale Cristanziano era diretto discendente della famiglia di Maltino, quindi dei Basso, o Bassi ascolani. Tornerò su questo. Divenuto diacono, dunque entrato nel novero dei chierici, affrontò l’esperienza della evangelizzazione ed è in queste emergenze che, secondo il Marcucci, assistiamo ad una prima ierofania del santo, che lo qualifica, già in vita, intercessore e protettore contro le grandini e le tempeste. E’ oltremodo evidente l’ulteriore accostamento, se non una sorta di assimilazione del santo alla figura di Emidio che, nella fantasiosa distorsione popolare, diviene – lo ricordiamo – il ‘padrone’ dei terremoti! Nel Cap. 7 si narra del martirio di Cristanziano, ormai orfano del padre spirituale e che sarebbe avvenuto il 13 di maggio, forse per decapitazione ma sempre con un evidente richiamo alla taumaturgia sua propria, denunciata poco sopra. Pertanto, sopraffatto dai suoi sgherri e dalla morte imminente: “ risentissene tosto il Cielo” – sottolinea Marcucci – “ mentre a forza di spaventosissimi tuoni ed orribili lampi, uniti ad un turbine furioso di vento e di grandine (..)”. Ecco, dunque, che Cristanziano, al pari di Emidio, manifesta una competenza particolare su un fenomeno naturale specifico: la capacità di provocarlo e di arrestarlo! Terminerebbe qui la vicenda di Cristanziano, ma, dando conto della sorte degli altri discepoli di sant’Emidio (tutti martiri, come dissi), il Marcucci attesta che a Cristanziano sopravvissero Valentino e Benedett, che gli diedero sepoltura nello stesso sepolcro in cui erano le spoglie di Emidio e di tanti altri anonimi martiri cristiani. Nel 311 e nel 312 d.C. morirono prima Benedetto, poi Valentino. Quest’ultimo, prima di perire, ha il tempo di comporre la Vita e Passione di sant’Emidio; opera che indirizzò al papa del suo tempo, Melchiade, a sua volta scomparso nell’anno 314 d.C. A questo punto il percorso cronologico è definito e il Marcucci sistema, se così posso dire, come tornerà a fare nel suo ‘Saggio delle cose ascolane…’ (1766) le figure dei martiri nel contesto più generale e complesso della storia di Ascoli. I richiami alla quale, non a caso, da qui in avanti si infittiscono. Vengono, infatti, riproposti i fasti ascolani del IV secolo, come quello, direi topico, della origine costantiniana della Chiesa cattedrale. Ma soprattutto si sottolineano due eventi, il cui protagonista è il vescovo san Claudio, ritenuto immediato successore di Emidio nella cattedra ascolana. Ed a questo periodo andrebbero annesse la ‘inventio’ e la ‘translatio’ dei corpi dei martiri ascolani, in primo luogo di Emidio e’socii’, dal sepolcreto, chiamato ‘alle grotte’ alla neo edificata chiesa maggiore e cattedrale. San Claudio è detto vivente nel 352 d:C. ed il Marcucci rivendica decisamente alla cripta della chiesa maggiore la definitiva sepoltura non solo di Emidio e dei suoi discepoli (tranne Beneedetto che venne trslato successivamente da San Pietro in Castello), ma dell’intera compagine mrtiriale ascolana. Passaggio fondamentale, questo, nella narrazione marcucciana, perché inteso ad illustrare proprio il culto delle sante reliquie! E proprio quella cristanzianea di Maltignano reca l’autentica vescovile del Marcucci stesso, titolare della sede di Montalto, ma presente in Ascoli anche in funzioni vicarie, absente episcopo! Tra il 13° ed il 15° capitolo si approfondiscono i caratteri del patrocinio salvifico di Cristanziano su Ascoli e il Popolo Ascolano. Egli è inseparabile da Emidio! Oltre alle grandini e tempeste, così dannose particolarmente per il mondo contadino, attraverso le sue apparizioni Cristanziano acquisisce un tratto tutto civile e urbico della sua taumaturgia e cioè quello di proteggere dalle guerre e contese civili, direi, appunto, dalle lotte di fazione intercittadine. Non casualmente, dunque, Egli è riconosciuto come uno dei Compatroni della Città! Le sue apparizioni miracolose e provvidenziali avvengono accanto a sant’Emidio, che in un certo senso, a questo punto, si fa garante della figura stessa di Cristanziano e del suo ruolo schiettamente civico. Così accadde nel 409, durante l’assedio di Ascoli da parte dei Goti, scongiurando la distruzione della città. E’, questo, evidentemente uno dei più ricorrenti rinvii ad un tipico topos della letteratura agiografica medievale, che si presta benissimo a tornare a sottolineare, come si diceva, la dimensione civica del culto, sulla quale Marcucci torna ad insistere, rivelandocene anche un aspetto politico, perché ha ache vedere anche con il ruolo dei gruppi dirigenti cittadini. E la dimensione civica del culto cristanzianeo emerge ancora nettamente nella precisazione, direi, che il Marcucci fa del ruolo del Santo lungo una fase storica decisiva della esistenza di Ascoli. Egli reinterpreta la nascita del regime comunale nel governo cittadino. Un regime che non casualmente definisce “repubblicano”, la cui affermazione, proprio per questo carattere ‘eversivo’, implicò un dato ridimensionamento della figura vescovile nella vita cittadina e territoriale di Ascoli. Marcucci è qui oltremodo preciso nella indicazione cronologica degli eventi. Parla infatti della fine del secolo XI, allorché non dovette essere indolore lo sfaldamento processuale dell’assetto di governo cittadino, o, per meglio dire, lo svuotamento di quel nesso secolare di dominio e di governo, che si era stabilito all’ombra dell’Impero. In quelle circostanze dovette scorrere molto sangue! Come nel secolo V, ancora adesso Cristanziano è accanto ad Emidio, che ammonisce, assiste, conforta, rassicura e, c’è da crederlo, accusa ed anche rimprovera! Nell’apparizione, perciò, Cristanziano, ad alta voce , grida al Popolo: “Pax vobis”. In quell’istante, annota il Marcucci: “il popolo genuflesso a terra, divotamente piangeva pietà per ciascuno, chiedendo de fatti suoi”. E fu la pace! Almeno in quel frangente di crisi, tornò la pace! E qui il Marcucci appare, o si rivela in una dimensione più intima e sensibile alle più attuali dinamiche cittadine. Il Popolo, infatti, piangeva le conseguenze delle discordie, divisioni, alle quali ognuno aveva arrecato il proprio nefasto contributo! “Chiedevano dei fatti suoi”, ossia “dei loro”, sta a dire proprio questo, la rivendicazione di una coscienza civica personale, individuale, oltre che collettiva. Si delinea, a questo punto, un progetto di ricomposizione unitaria dello sconvolto territorio ascolano, di cui i Santi insigni della tradizione cittadina sono i garanti più certi e sicuri! E possiamo vedere in queste malcelate idealità civili qualcosa di più privato e personale, come accennavo, nel Marcucci stesso, non solo nella concezione che manifesta della storia cittadina, ma proprio per questo nelle iniziative stesse nella sua contemporaneità. E’ un modo attivo, penso, di reinterpretazione della storia e, al tempo stesso , un dichiarato uso della storia ascolana in pieno Settecento! Tra il 16° e 17° capitolo troviamo ancora approfondimenti del culto di Cristanziano in Ascoli, attraverso, innanzitutto, il ricordo dell’annuale processione del 13 maggio, in cui interveniva l’intero Capitolo Cattedrale con i vertici dell’autorità pubblica comunale (il Magistrato), partendo dalla Cattedrale verso la Chiesa di San Vittore, anzi, sottolinea il Marcucci, “dei Santi Vittore ed Eusebio”, luogo del supposto martirio di Cristanziano, altrimenti detto “le chiaviche” ( che significa ‘passaggio’). Il richiamo alla dedicazione ai due antichi papi di quella Chiesa possiamo considerarlo un’altra manifestazione di acribia storica del Marcucci. Eusebio era il papa ‘sedente’, come scrive,nel 310, allorché Cristanziano subì il martirio e qui è palese il tentativo di favorire una sorta di allargamento del quadro storico generale in cui collocare e riconoscere Cristanziano. Ma proprio a Maltignano, come dissi, già nel 1754, il Marcucci era intervenuto decisamente e, direi, energicamente, contro quanti avevano sollevato dubbi sulla figura storica del Santo, ribadendone il carattere affatto ‘favoloso’: “ come alcuni, pazzamente sognando chimere della lor fantasia perturbata temerariamente asserirono…”. Al di là di un vago anonimato di questi ‘critici’, che il Marcucci non indica con precisione, in effetti una discussione era pur in atto da tempo. Egli non solo prende posizione, scrivendone, ma, come pure accennavo, si degnerà più tardi, quale vescovo, di autenticare per i Maltignanesi la reliquia del Santo, ancora oggi esibita ai Fedeli. Quella discussione, invero, era in atto da tempo, almeno da metà Seicento, durante il pontificato di Urbano VIII (1623-1644), allorché, di fatto, si subì l’interdizione di recitare l’Ufficio liturgico del Santo e di celebrare la Messa in suo onore, tratta, appunto, dal comune di un Martire. In quelle circostanze, però, sembra che a Maltignano la reazione fosse diversa, non subendo la devozione alcun arresto. Anzi una delle fonti iconografiche di Cristanziano è seicentesca, una pala d’altare cioé dedicata alla Vergine del Rosario, raffigura il Santo, con Emidio ai piedi della Vergine, nell’antica Parrocchiale di Maltignano, dedicata alla Vergine delle Grazie. Momenti di esitazione a seguito dei provvedimenti urbaniani di riforma circa il culto dei Santi dovettero verificarsi anche in Agnone, che interessarono anche san Cristanziano. Il tutto si risolse, come dissi, nel 1803, con il riconoscimento del culto da parte della Congregazione dei Riti. Del culto, si badi, che venne dato per immemorabile e sicuramente anteriore al 1534. Maltignano di par suo conservava memoria del culto e del patronato di Cristanziano sul Paese, anche se, pure qui, in pieno Settecento, il clero locale ricorreva, anch’esso, alla ambigua categoria di immemorabile per spiegarne l’antichità, vale a dire che la precipua circostanza della promozione di Cristanziano a Patrono cittadino non era appurabile a memoria di uomo! Quello del santo patrono cittadino è problema storico e religioso di portata generale in tutta Europa. Tra i vari aspetti, anche di natura culturale, in esso se ne coglie uno che li riassume tutti e cioè quello della identità civile, quale diretta conseguenza di quella comunitaria e religiosa del Popolo dei Fedeli. Ma i due processi storici essenziali alla vicenda comunitaria, quello insediativo e quello del riconoscimento religioso, vanno di pari passo e si informano reciprocamente, in maniera costante e continuativa. Il concetto base è sempre quello della comunità, dell’insieme abitativo, che si determina, storicamente, attraverso la realizzazione dell’insediamento stesso, al cui centro ideale, non solo fisicamente, sorge il luogo di culto per eccellenza, la chiesa del paese o del villaggio. Nel caso maltignanese, ma non solo, mi sembra di poter affermare che il deficit di memoria storica che in esso si evidenzia non è necessariamente attribuibile ad una irraggiungibile antichità dell’evento, che la non curanza degli uomini avrebbe contribuito ad alienare, attraverso la distruzione e la scomparsa dei documenti, quanto e di più alle modalità stesse con cui ad un certo punto è comparso nel luogo il suo Patrono. Il che sarebbe potuto avvenire in epoca molto più recente di quanto possa pensarsi, la cui documentazione non starebbe, semplicemente, in un atto scritto, ma in una consuetudine registrata nella memoria collettiva, tuttavia alienatasi con il tempo. Si dice che il Patrono cittadino rappresenta l’esito di una scelta maturata nella comunità. Può essere, certamente. Ma è, in ogni caso, una scelta comunque veicolata da una élite, da un gruppo, anche esterno alla comunità stessa, lungo un processo che non è mai di breve durata. La conoscenza della figura salvifica, ovvero la sua sponsorizzazione – mi si passi il termine – sta alla base di una proposta devozionale, sentita, certamente, ma in un primo momento marginale rispetto ai più particolari atteggiamenti pietistici e, ancora, culturali delle persone riunite in comunità civile. Diventa essenziale ricostruire questo genere di dibattito per saperne di più. In Maltignano i soggetti storici a lavoro per secoli, in età medievale e moderna, sono sostanzialmente tre: il Capitolo Cattedrale di Ascoli; l’élite cittadina ascolana, di cui il Capitolo Cattedrale è espressione peculiare; gli abitanti del Paese, che si confrontano, anche sul piano istituzionale locale, con il Capitolo Ascolano, cui sono soggetti, tanto nel civile, che nel religioso. L’insediamento fisico di Maltignano, per quanto su di un territorio profondamente segnato dall’eredità romana, come lo stesso Marcucci acutamente avvertiva già nel 1759, non è più antico del secolo XV, vale a dire che la Maltignano moderna, il vero centro abitato, ebbe le sue fasi formative determinanti l’assetto odierno lungo tutto il Quattrocento ed il Cinquecento. Bel problema storico anche questo! A cui dovremmo riferire un condizionamento reale e di lungo periodo del carattere esentivo della dominazione Capitolare ascolana, con la originaria e spiccata vocazione militare di questo territorio, in quanto inserito in un sistema di antemurale protettivo dell’urbe ascolana, sino alla piena età moderna. Mi sembra perciò ragionevole indicare nell’età tardo medievale ed iniziale di quella moderna quella più suscettibile per Maltignano a cogliere gli avvii di quel processo identificativo attorno a Cristanziano sino a condurlo al riconosciuto ruolo di Patrono cittadino. E’ un fatto oggettivo quello della notorietà di Cristanziano nel mondo agricolo, il cui culto, come si diceva, è abbastanza diffuso nel Territorio ascolano, anche nella vicina Monsampolo, per citare solo uno dei diversi casi. In una evidente accezione agricola, poi, sappiamo che Egli, più recentemente, venne affiancato da un’altra figura salvifica, stavolta femminile, quella di Santa Eurosia. Perciò Egli è un santo popolare e sentito! Si veda la sua raffigurazione a Paggese e si toccherà con mano la cura che manifesta per la conservazione dei ampi coltivati! E, tuttavia, io credo, anche sulla base di una suggestione storiografica tutta mia, che Egli goda in Maltignano di una specificità ancora più avvertita dalle élites cittadine ascolane. E’ circolata la tradizione, cui ho accennato, di una sua origine gentilizia nella famiglia dei Basso, o Bassi, quella del famoso Vendidio Basso per intenderci! Ce lo fa notare ancora il Ciannavei in pieno Settecento. Da ascolano Egli apparterrebbe al ceto nobiliare, o se vogliamo aristocratico cittadino! Di cui diventa, il passo è breve, alfiere cristiano dei primordi! In questa veste può stabilire in Maltignano una continuità di possesso, legittimante ancor più incisivamente quella del Capitalo cattedrale. Il ‘mito’ di Cristanziano può certamente aver attraversato una fase realizzativa di questo tipo. Ma questo’valore’ culturale ed ideologico avrà agito in ogni tempo, perché esso tradisce pure più concrete e reali difficoltà nello stesso assetto del governo locale del territorio, fornendo una evidente motivazione ideologica al riconoscimento di quelle legittimità di possesso e di governo, che non furono sempre pacifiche ed incontrastate. Molti importanti documenti dell’Archivio Capitolare attendono di essere studiati in questo senso e studianti per la prima volta! Ed il ruolo del suo patronato cittadino, per chiudere provvisoriaente su questo aspetto, si sostanzierebbe anche in una materialità del possesso rilevabile, a questo punto, anche sul piano giuridico. Oltre ad essere il Patrono Egli è anche il Padrone legittimo del territorio ! Peter Brown ci insegna che i santi sono “amici invisibili” e, quindi, vengono agiti – direi proprio “usati” – nelle più vive e disparate necessità e nel rapporto con il divino. In questo senso, come è avvenuto e avviene, se ne preferiscono alcuni al posto di altri e avviene anche che lo stesso Patrono cittadino venga ad un certo punto scalzato da un’altra figura salvifica, ritenuta più attuale, perché più efficace nella sua funzione. Nello Statuto di Maltignano, che è del 1710 nella sua redazione più recente, esempalata, se non erro, su quella di Monsampolo, accanto a Cristanziano troviamo ricordati i Santi Ilario e Filippo Neri. Un santo moderno, come vedete, venuto ad aggiornare con la sua intercessione il novero dei Tutelari della Comunità. E, tuttavia, Cristanziano resiste, perché oramai appartiene alla identità locale in maniera inscindibile. Ma tutto questo ci assicura che nella formazione e nello sviluppo del processo identitario di Maltignano il ruolo di Cristanziano è rivelativo dello stesso problema storico dell’insediamento. Vale a dire che perseguendone il culto conosciamo le iniziative economiche e sociali delle istituzioni e delle persone. Le conclusioni sono sempre provvisorie! Ma forse è necessario ricavare meglio da quanto s’è cercato di dire alcune indicazioni, per proseguire questo lavoro, che è solo alle battute iniziali. Il titolo del Convegno odierno, per quanto convenzionale, come quasi sempre in questi casi, ci propone alcuni concetti essenziali, che richiederebbero ben altro tempo per essere adeguatamente illustrati ed approfonditi. San Cristanziano è nella Storia in due forme, se vogliamo distinte: sotto quella mitologica e fiabesca e sotto quella, ben più concreta ed effettiva di ‘Patronus civitatis’. Ma il rapporto tra queste due, diremmo, condizioni della figura salvifica è strettissimo e non esclude, in linea di principio, che il personaggio storico sia effettivamente esistito. Dalle linee del ricordo nel Martirologio Geronimiano e, quindi, di quello di Usuardo, ha realizzato un cammino che diremmo sorprendente, colonizzando più luoghi del Piceno e del resto d’Italia. Manca, intanto, fin qui un più sicuro inquadramento della sua figura nel contesto originario di Aquileia, proprio accanto a Crisogono e ciò a prescindere dal fatto che Egli sarebbe, diciamo, insorto a seguito di un errore dei copisti. Pare, addirittura, che questo contesto agiografico, lo trasporti, poi, perfino in Sardegna. E questo suo notevole cammino, tutto da riscoprire e da ridisegnare, lo rileviamo da una tradizione di fatti – proprio nel senso letterale del termine – ovvero dal racconto che allo stato dell’arte esige un più tenace ed accorto lavoro di ricostruzione. Una ricomposizione che sia anche filologica, per isolarne il nucleo iniziale e poi comprendere, riconoscendoli a loro volta, tutti quegl’incrementi che nel tempo lo hanno arricchito, particolarmente in Ascoli, imponendolo, soprattutto tramite il Marcucci, come testo ufficiale della pratica devozionale. In tal senso, infatti, venne formandosi l’Ufficio liturgico del santo, definitivamente approvato, ma sarebbe meglio dire ‘riconfermato’ nel 1803, dopo essere stato ‘sospeso’ a metà Seicento. Nella promozione cultuale, intanto, possiamo avvertire, soprattutto qui a Maltignano, un ruolo significativo del Capitolo Cattedrale di Ascoli, tanto nelle vesti di feudatario di fatto del Paese quanto nel contesto signorile ed aristocratico della Città.

Tuttavia sappiamo veramente poco,troppo poco, di questa fondamentale istituzione ecclesiastica. Che piacerebbe collocare – è una nostra aspirazione! – anche sul piano culturale, oltre che sociale, alle radici di quella vera e propria scoperta, o riscoperta che dir si voglia, di un Cristanziano erede, fisico e morale, della gens Maltiniana. Un fatto, questo relazionabile all’altro, ben noto, dei fasti carolingi attraverso i quali, passò la concessione feudale di Maltignano ai Canonici per mano dello stesso Carlo Magno! Non direi casuale che solo in Ascoli sia ben percepibile questa variante biografica cristanzianea! O, forse, percepita da quei pochi che erano in grado di intenderla e di farla intendere. Restano, poi, da ricollegare in un quadro unitario le diverse esperienze cultuali, a cui accennavo, di Lodi, dell’Abruzzo casauriense e chietino e, particolarmente, del Molise triventino, con al centro quella vera e propria ‘capitale’ meridionale emidiana che è Agnone. Dove Cristanziano, da diacono, ad un certo punto diventa vescovo ‘mitrato’ e che soppianta, quasi senza colpo ferire, lo stesso Marco Evangelista, ancora nel Quattrocento al vertice del patronato cittadino. E Cristanziano fa tutto questo mediante una apparizione nel cielo cittadino! In Agnone, e finisco, gli Ascolani si erano incontrati con i Veneziani.Certamente, non solo lì si realizzò un incontro commerciale e, conseguentemente, culturale tra le due Cittadinanze tra Due e Trecento. Anzi! Ci si apre innanzi, in questo modo, però, proprio per la storia degli studi, ascolani in particolare, un paesaggio inesplorato fin qui, quello del cammino commerciale dei figli di Emidio lungo tutto il versante adriatico e fino alla Capitale del Regno, a Napoli! Nella lettera del 1758 del Vescovo Pitocco agli Ascolani, sopra ricordata, si richiama sensibilmente l’iniziativa dei mercanti, che avevano concorso direttamente a costruire in Agnone la chiesa dedicata a sant’Emidio, installandovi – dice il presule – ben otto sacerdoti. Altro che gemellaggio! Questo è un vero e proprio investimento! Il ‘nostro’ Marcucci, che a quella lettera si incaricò di rispondere, allegandovi il suo “Ristretto” su Cristanziano, non esita a mostrare la sua meraviglia e la sua compiacenza nel leggere quelle informazioni. Che in parte erano già note, come all’Andreantonelli, ben conosciuto dal Marcucci stesso. Ma credo che la meraviglia del Marcucci e dunque il suo fervoroso riscontro si determinassero nel cogliere la particolarità di quelle referenze, che uscivano dalla genericità del racconto andreantonelliano, da lui già fieramente contestato per molti altri versi, ad evocare, con dovizia di particolari inediti, un fatto storico senza precedenti, fino ad allora non adeguatamente valutato ed apprezzato. Il che – ed ho veramente terminato – il che gli porge un magnifico destro ad additare Cristanziano, inseparabile Campione ascolano di Emidio nel Cielo e nella Terra! E questo suo notevole cammino, tutto da riscoprire e da ridisegnare, lo rileviamo da una tradizione di fatti – proprio nel senso letterale del termine – ovvero dal racconto che allo stato dell’arte esige un più tenace ed accorto lavoro di ricostruzione. Una ricomposizione che sia anche filologica, per isolarne il nucleo iniziale e poi comprendere, riconoscendoli a loro volta, tutti quegl’incrementi che nel tempo lo hanno arricchito, particolarmente in Ascoli, imponendolo, soprattutto tramite il Marcucci, come testo ufficiale della pratica devozionale. In tal senso, infatti, venne formandosi l’Ufficio liturgico del santo, definitivamente approvato, ma sarebbe meglio dire ‘riconfermato’ nel 1803, dopo essere stato ‘sospeso’ a metà Seicento. Nella promozione cultuale, intanto, possiamo avvertire, soprattutto qui a Maltignano, un ruolo significativo del Capitolo Cattedrale di Ascoli, tanto nelle vesti di feudatario di fatto del Paese quanto nel contesto signorile ed aristocratico della Città. Tuttavia sappiamo veramente poco,troppo poco, di questa fondamentale istituzione ecclesiastica. Che piacerebbe collocare – è una nostra aspirazione! – anche sul piano culturale, oltre che sociale, alle radici di quella vera e propria scoperta, o riscoperta che dir si voglia, di un Cristanziano erede, fisico e morale, della gens Maltiniana. Un fatto, questo relazionabile all’altro, ben noto, dei fasti carolingi attraverso i quali, passò la concessione feudale di Maltignano ai Canonici per mano dello stesso Carlo Magno! Non direi casuale che solo in Ascoli sia ben percepibile questa variante biografica cristanzianea! O, forse, percepita da quei pochi che erano in grado di intenderla e di farla intendere. Restano, poi, da ricollegare in un quadro unitario le diverse esperienze cultuali, a cui accennavo, di Lodi, dell’Abruzzo casauriense e chietino e, particolarmente, del Molise triventino, con al centro quella vera e propria ‘capitale’ meridionale emidiana che è Agnone. Dove Cristanziano, da diacono, ad un certo punto diventa vescovo ‘mitrato’ e che soppianta, quasi senza colpo ferire, lo stesso Marco Evangelista, ancora nel Quattrocento al vertice del patronato cittadino. E Cristanziano fa tutto questo mediante una apparizione nel cielo cittadino! In Agnone, e finisco, gli Ascolani si erano incontrati con i Veneziani.Certamente, non solo lì si realizzò un incontro commerciale e, conseguentemente, culturale tra le due Cittadinanze tra Due e Trecento. Anzi! Ci si apre innanzi, in questo modo, però, proprio per la storia degli studi, ascolani in particolare, un paesaggio inesplorato fin qui, quello del cammino commerciale dei figli di Emidio lungo tutto il versante adriatico e fino alla Capitale del Regno, a Napoli! Nella lettera del 1758 del Vescovo Pitocco agli Ascolani, sopra ricordata, si richiama sensibilmente l’iniziativa dei mercanti, che avevano concorso direttamente a costruire in Agnone la chiesa dedicata a sant’Emidio, installandovi – dice il presule – ben otto sacerdoti. Altro che gemellaggio! Questo è un vero e proprio investimento! Il ‘nostro’ Marcucci, che a quella lettera si incaricò di rispondere, allegandovi il suo “Ristretto” su Cristanziano, non esita a mostrare la sua meraviglia e la sua compiacenza nel leggere quelle informazioni. Che in parte erano già note, come all’Andreantonelli, ben conosciuto dal Marcucci stesso. Ma credo che la meraviglia del Marcucci e dunque il suo fervoroso riscontro si determinassero nel cogliere la particolarità di quelle referenze, che uscivano dalla genericità del racconto andreantonelliano, da lui già fieramente contestato per molti altri versi, ad evocare, con dovizia di particolari inediti, un fatto storico senza precedenti, fino ad allora non adeguatamente valutato ed apprezzato. Il che – ed ho veramente terminato – il che gli porge un magnifico destro ad additare Cristanziano, inseparabile Campione ascolano di Emidio nel Cielo e nella Terra!

Associazione culturale «Sant’Emidio nel Mondo», Ascoli Piceno.

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